Domenica delle Palme *Domenica 5 aprile 2020

Matteo 26, 14-27, 66

Dal libro del profeta Isaia

Il Signore Dio mi ha dato 
una lingua da discepolo,
perché io sappia indirizzare 
una parola allo sfiduciato. 
Ogni mattina fa attento il mio orecchioperché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro 
che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,per questo rendo la mia faccia 
dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.

Battiamo sulla croce la nostra vita...

Indubbiamente una quaresima diversa, faticosa, difficile, ma anche particolarmente significativa.
Sono state settimane e giorni in cui –sicuramente più di altri anni – la fede ha dovuto essere quotidianamente scelta, rinnovata e alimentata da ciascuno. Sì, la fede autentica è sempre una scelta personale, ma nella quaresima di quest’anno abbiamo sperimentato con più intensità questa verità. Sono stati giorni di deserto, giorni che hanno fatto e fanno emergere da ciascuno il meglio e il peggio, le paure e le speranze, gli egoismi e la solidarietà,  il rifiuto e la condivisione. Sono stati giorni in cui la mancanza della vita comunitaria ci ha reso più consapevoli che in noi  c’è davvero il bisogno di stare assieme, gli uni con gli altri
Ce la ricorderemo questa settimana santa, ce li ricorderemo questi giorni e li racconteremo come occasione in cui si è sapientemente aperto lo sguardo su quello che davvero è umano, vero, buono e bello. Oppure li racconteremo come un tempo in cui si bramava di fuggire da ogni privazione e pesantezza. Anche i giorni della settimana santa si propongono come opportunità che aspettano di essere accolte per portare un buon frutto nel campo della nostra quotidianità e delle nostre famiglie. Non sarà possibile celebrare comunitariamente le liturgie, ma grazie ai sussidi e alle proposte della Chiesa diocesana – come genitori, nonni, figli, fidanzati, coppie – abbiamo l’opportunità di celebrare nelle case la Pasqua del Signore, guidando la preghiera proposta, animandola, arricchendola così come la nostra sensibilità e la nostra storia familiare suggerirà. Non credo di esagerare dicendo che i figli si ricorderanno per sempre di questa settimana santa, e ciò sarà possibile solo grazie al modo con cui gli adulti e i giovani testimonieranno loro come è importante credere e celebrare ciò che si crede, perché la vita non si immiserisca nel credere solo a ciò che accade.
Anche questi sono giorni che portano una parola nuova, una parola che ancora non abbiamo ascoltato e di cui abbiamo bisogno. Perciò è importante, oggi forse più che in altri giorni, non stare con superficialità e fretta, con orgoglio e supponenza dentro a quello che viviamo, pensando di conoscere tutto e di essere detentori delle soluzioni per ogni bisogno e urgenza. A questo proposito Isaia – il cui brano ascolteremo durante la messa delle Palme, a inizio della settimana santa – dice: «Ogni mattina il Signore fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli».  Ecco: anche questi giorni portano una parola che manca alla nostra umanità. La stiamo ascoltando? 
E quale potrebbe essere questa parola?
Che cosa stiamo imparando dai giorni che viviamo?
Come custodire e non dimenticare e non perdere ciò che ci sembra di aver scoperto e imparato?
Il racconto della Passione del Signore, proclamato nelle nostre case o ascoltato grazie alla televisione durante la celebrazione dell’eucaristia, ci aiuterà 
a interrogare la nostra vita.  Propongo di leggere la Passione, quest’anno secondo l’evangelista Matteo, con la penna in mano. Sottolineate i nomi dei vari personaggi e provate, quasi come esercizio spirituale, a lasciar interrogare la vostra vita da ciascuno di essi. 
Io ne propongo velocemente alcuni. E mi domando: quale tra i personaggi della passione mi interpella di più?
Giuda?L’amico di Gesù, che pur avendo ascoltato la parola, pur essendo stato in missione, guarito malati e scacciato demoni, non crede, sta nella doppiezza fino a diventare discepolo dell’invidia e dell’avidità. Quanto mi è fratello questo discepolo che tradisce l’amicizia facendo della sua vita una finzione e rifiutando di cercare la verità.
Pietro?L’amico che nell’entusiasmo e con smisurata fiducia in se stesso promette il meglio di sé e che purtroppo durerà solo qualche ora? Davanti e dentro alla difficoltà, anche Pietro si volta dall’altra parte, rinnegando la scelta, l’amico al quale aveva promesso davanti a tutti affetto e fedeltà. Chi somiglia a Pietro?
Giacomo e Giovanni, gli amici della prima ora. Eccoli qua… Davanti all’amico, che nell’angoscia chiede sostegno, aiuto, compagnia, i due fratelli dal carattere alquanto focoso, e desiderosi di primeggiare su tutti, non resistono nemmeno ad un’ora di sonno. Che buona compagnia si è scelto il Signore! Non stupiamoci se anche oggi nella Chiesa, nelle comunità, tra i preti, tra i credenti e sicuramente anche dentro alla vita di ciascuno ci sono tanti esempi poco edificanti.
E i sommi sacerdoti? Non ci mettiamo nella loro squadra quando andiamo a sederci dalla parte di chi ha ragione a prescindere? Dalla parte di chi domanda ma non ascolta le risposte, di chi si è fatto padrone della ragione e della verità, di chi crede in Dio al punto da volergli insegnare cosa è buono e cosa non lo è? 
Pilato, il governatore, il cui compito è indicare la strada della giustizia, ma che per non inimicarsi nessuno e non perdere consenso si arrabatta per accontentare tutti facendo così morire la Verità e crocifiggendo la Giustizia? A chi assomiglia Pilato? Non pensiamo ai politici… Sono io Pilato quando non so prendere una decisione, quando cerco il consenso e non la verità, quando non ho coraggio di stare da una parte o dall’altra per timore di perdere l’altra parte, quando non ho l’intelligenza di dirigere i passi verso una direzione e di percorrerla. 
I soldati che con cattiveria gratuita e grossolana godono nel deridere e nel colpire chi è già colpito e non può difendersi, somigliano alle persone che perversamente godono degli insuccessi altrui, che deridono chi è poco considerato e che nella posizione in cui stanno non rispettano chi è più debole o vive nel bisogno. 
E i due ladri? A differenza di altri evangelisti, il cui racconto riporta la confessione di fede di uno dei due, Matteo dice che entrambi insultano il Signore, assieme ad altre persone, ragguardevoli e popolani. L’insulto è sempre quello, allora come oggi: «Non può esserci Dio nella debolezza, in ciò che fallisce, nel perdere ogni appoggio. Non può esserci nella croce. E se davvero Dio c’è, se davvero gli interessa di noi, di me, perché soffro cosi?». Fino alla fine, ogni giorno di vita, troveremo in noi la tentazione di identificare nell’esaudimento del nostro bisogno la misura della verità.
Anche le donne, nel racconto di Matteo, sono presenti in modo diverso da quanto riportato da altri evangelisti: non stanno sotto la croce, ma «osservavano da lontano». Era loro vietato avvicinarsi, di assistere? Sono il segno di chi, anche in questi giorni, pur volendo aiutare anche con la sola presenza chi sta male è impossibilitato a farlo? Sono il segno dell’apparente inefficacia del voler bene? Sono il segno della gratuità dell’amicizia, dell’affetto che si dona anche quando non si può far nulla?
Simone di Cirene e Giuseppe di Arimatea, Maria di Magdala e l’altra Maria testimoniano, senza parole, che si può voler bene in molti modi. La loro presenza discreta ed efficace dimostra che i veri discepoli di Gesù sono conosciuti solo a lui.
Il sussidio diocesano, che ci aiuterà a stare nella preghiera di questi giorni, ci proporrà dei gesti di bontà, concreti atti di amicizia, segni semplici di umanità: possiamo prendere esempio questi ultimi amici di Gesù per entrare anche noi nella silenziosa concretezza evangelica del fare.I giorni della settimana santa si presentano quest’anno, lo ricordo ancora una volta, alle nostre famiglie come una nuova opportunità per crescere nella fede: accogliamola e lasciamocene coinvolgere e interrogare. Ora tocca a noi. 

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