I Domenica di Quaresima *Domenica 1 marzo 2020

Matteo 5, 38-48

Dal vangelo secondo Matteo

Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Non si vince la tentazione senza preghiera

Una coppia di giovani sposi inizia la propria vita assieme con un entusiasmo, una disponibilità e con un affetto inossidabili. Hanno il sorriso nel cuore e sugli occhi, sembrano essere davvero fatti l’uno per l’altra e la voglia e il bisogno di stare assieme sembrano non esaurirsi mai. Eppure viene un momento in cui ciò che era vivido sbiadisce e ciò che è presente sembra non avere più sapore. Uno dei due si lascia distrarre da qualcos’altro, ed è qualcosa che avvelena il cuore. E così, quasi senza rendersene conto, si ritrova ad accarezzare, a fuggire, a rincorrere, a lasciarsi prendere da pensieri e desideri che credeva di non poter avere nel proprio cuore.
Ad ascoltare ciò che pensa e a guardare ciò che immagina, prova da sé vergogna di se stesso; eppure, nonostante il desiderio e il bisogno di innocenza e libertà, torna comunque a indossare il velenoso abito della doppiezza.

Un giovane crede con sincerità a ciò che Gesù propone, si sente affascinato dalla forza di ciò che il Vangelo dice, crede davvero che la sua umanità si possa realizzare nel dono di sé servendo la Chiesa. Passa poco tempo, prima di qualche anno, e vive delle inevitabili delusioni (ricevute e date), assaggia il sincero sapore dell’insuccesso, la normale fatica del vivere mette un po’ di ruggine e poi la poca autenticità e concretezza nella preghiera, il poco confrontarsi con qualcuno... gli aprono la porta del cuore e dei pensieri a un gruppetto di irrequiete esigenze che improvvisamente e insistentemente chiedono di essere accolte, ascoltate e realizzate. E quel giovane prete (o anche non più giovane) gioca un po’, non visto, a stare in ciò che non è per lui. Non trova il coraggio di parlarne con nessuno, si sente imbarazzato, teme il giudizio… non sa come fare. E si sente dire a se stesso: proprio tu che dovresti testimoniare e insegnare agli altri come fare e come non fare.  

Un gruppo del patronato è composto da parecchie persone, uomini e donne che, così come sono e sanno si mettono a disposizione. Organizzano molte cose, sono sempre disponibili, ridono spesso quando si trovano, sono davvero una forza in parrocchia e chi li vede lavorare assieme sottolinea questa loro bella e generosa testimonianza di servizio e di amicizia. Ma succede che qualcuno tra loro sia così disponibile al servizio da non lasciar servire altri o in altro modo che non sia quello suo. E anche in questo gruppo di amici, così sorridenti e generosi, viene a sedersi, per ora scomodamente e solo in un angolo, un ospite inatteso che si chiama invidia e volontà di primeggiare. Sussurra di non chiarire, di non parlare apertamente con le persone perché tanto non capirebbero, di parlare sottovoce quando quelle persone non ci sono, di organizzare qualcosa senza invitare tutti ma solo qualcuno con cui ci si trova d’accordo… E quell’ospite pian piano si trova seduto al centro di tutto e quel gruppo non c’è più. Presi uno per uno i membri di quel gruppo rimpiangono i giorni del sorriso e dell’armonia: «Queste cose... proprio in parrocchia!», si sentono dire l’un l’altro. Tutti provano scontentezza, imbarazzo e nessuno ha più voglia di continuare a servire.

A questo proposito ricordo una frase di Soren Kierkegaard che dice: «Non è il cammino che è difficile, ma il difficile che è cammino». Il difficile viene per tutti. Non c’è vita che non debba passare per questa strettoia. La tentazione aspetta tutti, credenti e non, perché per tutti viene il momento – che si ripropone a ogni età e giorno della vita – in cui si sente il fascino del peggio che abita, indisturbato e non invitato, dentro di noi. Essere tentati è la nostra condizione: il dono della Quaresima, che anche quest’anno ci è donata e che si apre davanti a noi, ce lo ricorda.
Invito a considerare come nel Vangelo sia scritto che «Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo». Lo Spirito pone Gesù nella condizione di bisogno, di fame, di precarietà, di solitudine, di difficoltà, di paura, di povertà, di debolezza, di sfinimento, di non aver nessuno accanto… quasi per dirgli: quando sarà così, che cosa farai? Quando ti sentirai così, cosa sceglierai? Quando non avrai più forza, dove volgerai lo sguardo? Quando avrai fame, come la sazierai?

Gesù guarda dentro alla propria fame, ai propri bisogni non risolti, alla fragilità oscura e densa della propria umanità, guarda negli occhi queste cose che – come ciascuno di noi – ha dentro sé. Non fa finta che vada tutto bene: sta dentro alla fatica, almeno per quaranta giorni e quaranta notti, non scappa, non recrimina, non si lamenta, non rivendica, non pensa di essere sbagliato. Si lascia guardare negli occhi da questa oscurità che ha dentro sé, quella che vince così spesso ciascuno di noi. Non la soffoca, non la nega, non la banalizza ma la dirige ascoltando il bisogno che esprime e rispondendole con la luce e l’ampiezza che la Parola di Dio può donare.

Tanti tra noi non badano più alle tentazioni: fanno le cose così come vengono e si lasciano attirare da questo o da quello, a seconda dell’occasione e di ciò che va bene al momento. Alcuni riescono a vincere la tentazione dominandola. Altri ancora invece tentano di imparare dalla tentazione, decifrando con fatica il bisogno di vita che essa esprime. Nessuno può capire e vincere la tentazione senza preghiera. Per questo alcuni vincono le tentazioni chiedendo con costanza a Dio di capire perché provano certe cose, perché sentono così forti certi bisogni.
Il nemico suggerisce sempre la via più facile: quella che non fa crescere, non nutre, non fa contenti.
Lo Spirito invece suggerisce intelligenza di comprensione, cammino personale, coraggio di scelta, ampiezza e completezza di vita; sussurra di aver rispetto dei propri bisogni, della propria fame e ispira e dona la Parola di cui abbiamo bisogno perché la vita abbia direzione. La tentazione chiude in un labirinto, lo Spirito conduce alla meta.
La tentazione sospinge a desiderare confusamente molte cose e a raggiungerle con fretta e avidità; lo Spirito invece suggerisce ciò di cui ho davvero bisogno per realizzare la verità dei desideri.
I giorni della Quaresima possono essere un dono, in particolare per noi adulti: ci è proposto di aiutare i giovani a fare un passo in avanti proprio in ciò che noi per primi fatichiamo, nel discernere ciò che è buono, ciò di cui abbiamo bisogno e a inseguirne la realizzazione e a saper anche dire a ciò che non è buono: «No! Vattene!». Lo Spirito ci aiuti!

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)