III Domenica del Tempo ordinario *Domenica 26 gennaio 2020

Matteo 4, 12-13

Dal vangelo secondo Matteo

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 

lasciò Nazaret e andò ad abitare a Cafarnao, sulla riva del mare, 

nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:

«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,

sulla via del mare, oltre il Giordano,

Galilea delle genti!

Il popolo che abitava nelle tenebre

vide una grande luce,

per quelli che abitavano in regione 

e ombra di morte

una luce è sorta».

Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

Non ci salviamo se rinchiusi in una rete

La mia esperienza di podismo e di cammino mi ha fatto più volte provare la verità di una frase di Soren Kierkegaard, il tormentato filosofo danese. Contiene una verità che prima o poi – camminatori o non camminatori – tutti sperimentiamo come vera e anche necessaria per crescere. Eccola: «Non è il cammino che è difficile, è il difficile che è il cammino». 
Concordo pienamente. Siamo in un tempo in cui cerchiamo di vivere assecondando ogni pigrizia e cercando sempre la via più facile. Ormai diventati ghiotti di divani, abbiamo surclassato la fatica da normale ingrediente di vita a frustrazione e quasi insopportabile segno di debolezza. Ma non è così: se prestiamo attenzione all’esperienza, questa rivela che quasi mai si impara qualcosa da ciò che è facile. 

Gesù inizia proprio da questo, da ciò che è difficile: Cafarnao. Una zona poco ambita e ricercata da chi contava; una zona di periferia, un crocevia di scambi commerciali e di popoli che intimoriva chi invocava la “purità della razza”, del pensiero, della religione, dell’identità del popolo.
Il modo di essere di Gesù fa capire che per crescere e diventare adulti, per trovare forza in sé ed essere affidabili, non bisogna aver paura di stare nelle difficoltà o fuggire dai posti difficili. Gesù, Dio, comincia proprio da questi posti, quelli in cui forse nessuno vorrebbe andare o stare, e a chi vive in queste situazioni e in questi “luoghi tenebrosi” annuncia che nessuna difficoltà e nessun buio dura per sempre.  
Gesù sta in questi luoghi e vive la vita di questi luoghi: non teme nessuna contaminazione. Stando accanto a chi lì vive e standoci senza modi guardinghi o accomodanti o piacioni o superficiali, riesce a entrare nei cuori delle persone: le conosce e chiama per nome.

Ammetto che la parola conversione mi fa venire in mente divieti e censure: non si può fare questo… non si può mangiare quello… questo no perché è peccato…; non è una bella sensazione. Provo allora ad accogliere questa parola e a considerarla con un’altra luce.

Il buono che vorrei c’è, ma non me ne accorgo. La gioia che il cuore continua a cercare con modi che non lo saziano è già pronta, ma ai nostri occhi non sembra essere così buona. Il bisogno di amore che troviamo dentro di noi, spesso è colmato con modalità che inquinano il cuore, mentre non crediamo che il modo buono di amare e di essere amati sia quello che Gesù ci ha mostrato.
Il Regno di Dio è la salvezza, la pienezza di vita che desidero; è la verità che ricompone in armonia l’intensità di quello che provo; è la meta che i passi cercano inciampando su strade non buone; è il ristoro del sapersi accolti, amati oltre ogni vergogna, che conduce a scoprirsi capaci di amare, anche se da feriti. Il Regno di Dio è Gesù. Il Regno di Dio è vicino: è qui, dove vivi, nella tua Cafarnao quotidiana.

Convertirsi vuol dire, allora, “aprire gli occhi”, accorgersi che proprio qui, nel posto in cui sto, nella “terra tenebrosa”, proprio in questo posto, in questa vita, in questo tempo che magari non mi piace, anche qui, anzi proprio qui, c’è Dio: il Regno è vicino a me, a ciascuno di noi. E allora perché non me ne accorgo? Forse perché credo che solo il mio modo di rispondere ai bisogni del cuore e della vita sia l’unico giusto ed efficace. Quante volte le reti di Pietro e dei suoi amici sono rimaste vuote? E sì che se ne intendevano di pesca… Quante volte le mie reti rimangono vuote? Quante volte pur impegnandomi nel mio essere papà o mamma, moglie o marito, ho la sensazione di inefficacia, inutilità, inadeguatezza? Quante delle nostre iniziative e intelligenti strategie producono poca cosa? Quante volte – anche come preti – si vive la vita con “l’ansia da prestazione” e ci si trova a essere sempre più preoccupati?

Perché è così?

Forse tanti nostri modi non sono buoni perché più che portare le persone a crescere secondo la verità del proprio desiderio o a far diventare le cose e i tempi buoni per tutti, si opera in modo da condurre ogni cosa alla soddisfazione delle proprie aspettative. In questo modo, senza volerlo, si fa di sé una divinità. I frutti di questo modo di fare non hanno bisogno di descrizione: più che essere pescatori di uomini ci si trova a essere stanchi, delusi e sfiduciati. Come convertirsi? Come guarire da questo modo?

Gesù si avvicina ai quattro fratelli e li chiama a diventare suoi amici e loro, andando dietro a lui, capiranno pian piano che un altro modo di stare nella vita è possibile e lo vivranno per primi. Testimoniando poi al mondo che è possibile vivere con il cuore sazio e allo stesso tempo libero. Lasciando quel modo che imprigiona chi c’è e quel che c’è, si convertiranno e seguendo Gesù, colui che libera e fa contenti, diventeranno suoi amici, pescatori di uomini, gente che salva. La vita di Gesù e la sua parola fanno imparare che le persone, i tempi, la storia (anche quella personale) non si salvano se rinchiusi in una rete, per quanto bella e “alla moda”, inseguita e desiderata da molti possa essere. Sempre rete rimane. Convertirsi è proprio una scelta di libertà, di liberazione da ciò che non fa della vita una liberazione. Mi domando: ho coscienza di quali sono le mie reti? Desidero davvero lasciarle? 
Guardo alla mia esperienza e mi chiedo: chi e che cosa mi aiuta a essere libero? 
Chi sta con me è diventato più libero e forte?

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