III Domenica di Pasqua *Domenica 8 maggio 2022

Giovanni 21, 1-14

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

Vivi come chi ancora non ha raggiunto il meglio...

Parecchi anni fa alcuni amici mi invitarono a cenare in un ristorante della Riviera del Brenta, rinomata zona che si distingue anche per l’ottima preparazione del pesce. Il ristorante aveva da poco tempo iniziato la sua attività e già si era fatto conoscere e distinguere per la qualità dei piatti e l’innovativa cucina. Il modo di cucinare, di abbinare gli ingredienti, di introdurre qualche novità nella preparazione e composizione del piatto si componeva in un risultato davvero squisito. Questo ristorante c’è ancora
e, da quel che so, si è ulteriormente ingrandito. Oltre a lavorare molto, la fama della sua cucina ha fatto sì che offra la propria competenza e i propri prodotti anche a eventi esterni, aumentando così i propri profitti. 
Prima di diventare un ristorante ricercatissimo, l’ambiente era una semplice osteria, di quelle che si trovavano fino a pochi anni fa in tanti dei nostri paesi: ambienti che offrivano più o meno lo stesso menu, composto da vino di qualità medio-scarsa, stuzzichini (chiamati in veneto “sponcieti”), qualche piatto di baccalà o di trippa e tavoli disponibili ad accogliere interminabili partitone a briscola o a scopa. Un figlio dei proprietari di una di queste osterie se ne andò, giovane giovane, non so dove, all’estero comunque, a lavorare per qualche anno. Una volta tornato, disse ai genitori, ormai in età pensionabile, di essere disposto a prendere la gestione dell’osteria, a patto che le cose si facessero a suo modo. I genitori lasciarono campo libero al figlio, scommettendo sulle novità e migliorie portate dal figlio è da anonima e alquanto noiosa osteria di paese, il locale divenne un ottimo e ricercatissimo ristorante. Della vecchia struttura si tenne solo il nome, aggiungendovi un aggettivo: “Antica osteria da...”. 

Non è così immediato o facile lasciarsi guidare da una possibile novità. Anzi il più delle volte ciò che è nuovo viene guardato, da chi ha esperienza, con sospetto o con decisa perplessità.
Succede che quando si viene in contatto con qualcosa di nuovo, un’esperienza significativa, un incontro autentico, qualcosa che non solo porta novità, ma suggerisce ciò di cui si ha bisogno, si avverta la paura del cambiamento. Succede che non sapendo come rispondere al bisogno di cambiamento che si avverte o che non avendo coraggio di provare cose buone e nuove, ci si lasci vincere dal disorientamento, dall’insicurezza che si prova davanti a ciò che non si conosce. Se poi si ascolta l’orgoglio, quello che fa credere di essere sempre dalla parte del giusto e del meglio, ci si ritira, si scuote la testa e si torna a ripetere quel che si è sempre fatto: «Io vado a pescare». 

Gesù aiuta Pietro, i discepoli e noi tutti, a fare verità sulla propria vita: «Ragazzi, avete qualcosa da mangiare?». È come se Gesù chiedesse a ciascuno di noi, alle nostre comunità: «Guarda a quello che fai, a quello che proponi, a quello che vivi, a quello che sei… tutto questo nutre la tua vita? Nutre la vita di chi ti è affidato? Nutre anche chi non fa parte del tuo gruppo, nutre chi ti incontra anche solo occasionalmente?».
Non è proprio questa la domanda che tante volte le persone che frequentano, anche occasionalmente, le chiese, le proposte parrocchiali, le nostre celebrazioni, le nostre preghiere, ci dicono? 

Durante le confessioni di Pasqua un signore che non conosco si presenta confidandomi un suo pensiero: «Vado spesso a confessarmi, ma il più delle volte, se non tutte, voi preti mi dite cose belle, buone… ma, mi scusi padre, perfettamente inutili, banali... cose che vanno bene per qualsiasi persona ma che non mi aiutano a capire la mia vita e a cambiare qualcosa». 
Che dire?
Spesso continuiamo a proporre quello che sappiamo fare o dire, non accorgendoci che forse non è questo ciò di cui c’è bisogno. Senza mancare di rispetto all’impegno di ciascuno, molto spesso la proposta di fede delle nostre comunità ha il colore della banalità, molto spesso il linguaggio delle nostre celebrazioni non è più comprensibile e non parla al cuore di nessuno. 

Ripeto l’interpretazione della domanda di Gesù: «Quello che proponi, quello che dici, quello che fai, quello che vivi… ti nutre? Nutre gli altri?».
Gesù suggerisce a Pietro di «gettare la rete dall’altra parte della barca». Penso che questo sia quello che dice anche noi: «Prova a fare le cose in un altro modo». 
Gesù non giudica e non disprezza l’impegno, ma suggerisce di rinnovare il modo di fare, così che l’impegno porti frutto. 
Il segno di una fede autenticamente pasquale non consiste nell’essere stravaganti, ma nel fidarsi anche di nuove ispirazioni e modi: provare a gettare la rete dalla parte destra della barca. Non si tratta solamente di migliorare le tecniche di comunicazione, ma di ravvivare la testimonianza di quel che si crede, di accompagnarla con diversi e nuovi modi di annunciare, senza fare di quel che sappiamo fare la sola, unica, fissa e perpetua modalità.
Sì, servono competenze pastorali, profonda conoscenza della realtà in cui si opera, attenzione al vissuto umano… ma prima di ogni altra cosa c’è bisogno di passione e di persone che siano riconciliate con la parte più fragile della propria umanità. 

Guardiamo a quel che ha fatto Gesù con Pietro: lo fa diventare guida e testimone dopo averlo aiutato a guardare in faccia con sincerità la sua situazione e ad accettare la sua fragilità. Pietro sarà guida, e vivrà questo compito imparando a non mettersi al di sopra di nessuno.
Un modo – soprattutto di questi tempi in cui la cristianità è messa molto in crisi a causa del comportamento di chi avrebbe dovuto essere di esempio – per vivere con nuovo impulso il dono della fede è, forse, proprio questo: cercare autorevolezza dalla sincera coerenza di vita, senza porsi come maestri indiscutibili, perfetti, dall’insegnamento corretto è logico, ma tremendamente noioso, impossibile da vivere e lontano dalla vita quotidiana. 
Gesù affida il compito e il dono di essere guida della Chiesa a persone che, come Pietro imparano a riconoscere con liberante sincerità davanti a tutti la propria fragilità e che vivono il coraggio e la disponibilità di essere guide perché rimangono discepoli.
A queste persone, Gesù, come a Pietro, dice «prenditi cura dei tuoi fratelli e guida al bene ciò che ti è stato affidato senza crederti o farti maestro. Vieni dietro di me, vivi come uno che ancora non ha raggiunto il meglio di sé e che sentendosi amato e perdonato sa amare, perdonare, guidare. Andiamo, vieni, io ti accompagno».

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