IV Domenica del Tempo ordinario *Domenica 30 gennaio 2022

Luca 4, 21-30

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naaman, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Possiamo essere presenze di Vangelo

Ogni tanto mi viene nostalgia degli anni in cui animavo le ore di religione a scuola: ho un buon ricordo dell’esperienza, ma devo ammettere che non sempre è stato facile e qualche volta, davanti a certi comportamenti dei ragazzi, ho pure perso la pazienza. Tanti di loro erano alquanto disinteressati, prevenuti nei riguardi dei preti, indifferenti a qualsiasi proposta; in alcune classi, particolarmente impegnative, ho avuto più volte la sensazione di essere “trasparente”, perfettamente inutile. Tuttavia, non sono scappato, non ho rinunciato al compito che mi era stato affidato e pian piano, con pazienza e fatica, il rapporto con i ragazzi – così almeno è parso a me – è cambiato, al punto che con alcune di queste classi, di quelle particolarmente difficili, si è poi deciso di concludere il percorso scolastico condividendo una cena nel patronato della parrocchia in cui stavo. Con l’andar degli anni mi è capitato di incrociare alcuni ex studenti divenuti adulti, e in uno di questi incontri, uno di loro, ricordando come durante una gita scolastica a Budapest dovetti uscire di notte dall’albergo per andare a recuperare in giro per la città alcuni studenti, mi chiese se io continuassi o meno a dire parolacce. Non ricordo se in quella notte a Budapest, una volta ritrovati i ragazzi, sfogai il nervoso usando particolari parole… di sicuro ogni tanto le ho usate. Alla sorridente curiosità dell’ex studente ho risposto anch’io sorridendo e dicendo: «Beh, spero non sia solo questo il ricordo che hai di me...».

Spesso definiamo una persona in base a qualche difetto fisico, agli sbagli che può aver vissuto, all’appartenenza politica, al luogo di provenienza, in base ai ricordi che ne abbiamo… e questo spiccio modo di giudicare, oltre che essere poco rispettoso e segno di pigrizia intellettuale, non rende giustizia a ciò che le persone sono e ne impedisce la loro vera conoscenza.
Certo, c’è chi cresce pigramente e male, chi è inconcludente a tutte le età, chi era sciocco ed è rimasto tale, chi è pure peggiorato… ma in tante altre occasioni non è così. Tantissime volte ho riscontrato che ci sono delle persone che con l’andar degli anni maturano, e che, trovando il proprio modo di vivere, cambiano in meglio. Tantissime volte ho visto giovani ragazze, apparentemente incapaci di esprimere qualsiasi opinione personale, di presenza inconsistente, anche fisicamente deboli, tramutarsi, una volta divenute adulte e madri, in persone serene e grintose, piene di forza inesauribile. Ho ritrovato ragazzi taciturni e introversi, tramutati in adulti che sanno il fatto loro, responsabili di azienda, capaci di scelte innovative e lungimiranti. Non si deve mai “chiudere”, identificare una persona solamente con il suo passato («Medico, cura te stesso!»), perché a tutti viene offerta una possibilità di maturazione, di cambiamento, anche se non tutti hanno il coraggio di coglierla e di compierla.

Gesù torna al suo paese e ci torna cambiato: non è più "solo" quello che era quando se ne era andato. I suoi parenti, amici e paesani avevano sì sentito dire quello che faceva, vista fama che lo precedeva, ma non sapevano cosa pensare di lui. E quando torna al paese, durante una preghiera comunitaria identifica se stesso come colui di cui parlano le Scritture, come il profeta, come Messia la reazione non si fa attendere: una meraviglia che si trasforma in disprezzo, discredito e rifiuto (capita che vedendo amici o persone che hanno raggiunto traguardi che personalmente non siamo riusciti a raggiungere, si viva quella brutta reazione interiore che si chiama invidia).  
Quando un figlio sceglie come adatto a sé un modo di essere diverso da quello che i genitori si aspettavano o quando riesce a condividere con loro una ingombrante verità a loro sconosciuta, questi come reagiscono?
Quando le persone, o la realtà non corrisponde alle proprie aspettative, ai propri ricordi, quando non obbedisce ai personali criteri di giudizio, che succede?
È bastato che il papa sentisse il bisogno di andare a salutare delle persone che da tempo conosceva e che entrasse, per questo, nel loro negozio di dischi, che subito tanti esprimessero giudizi sprezzanti sul suo modo di essere papa. Che cosa ha fatto di così offensivo, sconcertante e strano? Da dove viene questa acredine, questa cattiveria, questo disprezzo? E questo modo di esprimersi, che cosa dice del nostro cuore?

Spesso viviamo come se la realtà, le persone fossero create per soddisfare le nostre aspettative: questo figlio, per essere bravo, deve essere così... Questo tempo, per essere buono, deve avere queste caratteristiche... Questo insegnante, per essere all’altezza del suo compito, deve insegnare queste cose e in questo modo... Questo gruppo, questa parrocchia per essere significativa deve avere queste presenze, queste iniziative... Un uomo che si sposa deve essere e fare così… E così via. Ingabbiamo la realtà e le persone – e anche noi stessi – in quello che crediamo sia il modo giusto di essere e di fare e se qualcosa o qualcuno non è o non fa quello che ci si aspetta che sia o che faccia, reagiamo come gli amici e i paesani di Gesù: «All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città...».
È importante essere invece attenti alla realtà che sempre è in cambiamento, confrontarsi con essa, non vederla come nemica. A noi cristiani è chiesto di trovare, anche in questo tempo, nuovi stimoli per vivere la fede e provare vie nuove per testimoniarla con modalità che aiutino il vangelo ad essere presente nell’oggi che viviamo. Per questo è importante essere consapevoli che anche nel nostro cuore di credenti, ci sono molti (inconsapevoli) pregiudizi che impediscono di cogliere nelle differenze dei modi e di pensare, una possibile bontà di cui abbiamo bisogno.

L'episodio di Nazaret è il primo di una serie che vedrà Gesù rifiutato proprio da chi avrebbe, per intelligenza, ruolo e vita di fede, potuto, se non accoglierlo, almeno lasciarsi interrogare dal suo nuovo modo di essere di fare.
Ciò mi fa pensare che quando i modi di vivere la fede, di amare, di vivere la famiglia, di stare nelle amicizie, di istruire e aiutare a crescere, di vivere in comunità, di vivere un servizio, di vivere il lavoro e il tempo… se tutte queste modalità di essere non diventano luoghi e occasioni in cui ci si aiuta reciprocamente a trovare la via per essere se stessi, allora qualcosa sicuramente è da correggere e migliorare.
Questo brano mi fa poi anche capire che Dio, per rivelare la sua presenza, non sceglie quasi mai “effetti speciali” – i miracoli – e non va in cerca di luoghi o di persone straordinarie, impeccabili, perfette. Spesso, quasi sempre, sceglie quello che già abitiamo e conosciamo, proprio quel presente e quel luogo e quella persona che giudichiamo mediocri, noiose, spente, banali… e salva anche attraverso queste “ordinarie banalità”. A questo proposito mi piace condividere alcune parole di Rainer Maria Rilke, tratte da un suo bellissimo libretto, Lettera a un giovane poeta, quando scrive: «Se la vostra vita quotidiana vi sembra povera, non l’accusate; accusate voi stesso, che non siete assai poeta da evocarne la ricchezza; ché per un creatore non esiste povertà né luoghi poveri e indifferenti».

Il voler piacere a tutti e a tutti i costi, annacqua la propria identità e fa perdere il proprio sapore; mio padre mi diceva che «voler piacere a tutti non è fatica… ma tempo perso». Imparo da Gesù: se non va, non va. Il Vangelo non dice che Gesù disprezza i suoi paesani, i suoi amici, i suoi parenti, che sbatte la porta e che se ne va lanciando maledizioni… no, dice solo che continua per la propria strada: «Egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino».
Che Gesù ci tolga questa mania di voler piacere a tutti, di accomodare tutti, di esserci sempre e ovunque dappertutto per il timore di perdere qualche posto, ma che ci dia di essere presenza, vera, buona, significativa, nuova, diversa, di Vangelo.

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