Pentecoste *Domenica 9 giugno 2019

Giovanni 14,15-16.23b.26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

Purificazioni brucianti

Torna lo spirito consolatore, lo spirito che avrebbe aiutato i cristiani a ricordarsi e comprendere sempre più a fondo del lascito di Gesù. Sono parole che ci avevano accompagnato anche due domeniche fa, e oggi illuminano il mistero della Pentecoste, questa discesa promessa in questo dialogo da Gesù nel Vangelo di Giovanni e avvenuta poi solennemente nella scena descritta nel libro degli Atti degli apostoli. Scena che ci ripropone l’immagine delle lingue di fuoco che si posano sulle teste dei discepoli.
I simboli sono stati molto ben studiati da Gesù, perché sono un ottimo strumento per ricordarci, come appunto siamo invitati a fare dalle sue stesse parole. E il fuoco ha svolto molto bene la sua parte per secoli nel ricordare agli uomini la potenza dello Spirito. Noi forse facciamo più fatica oggi a comprenderlo come simbolo, perché la nostra cultura lo ha allontanato dalla nostra vita.
In presenza del fuoco oggi dobbiamo vigilare, proteggerci, difenderci. Il fuoco fa pensare a distruzione. Forse per questo facciamo fatica a entrare dentro la descrizione della discesa dello Spirito, sia nel Vangelo di Giovanni sia negli Atti. Siamo in presenza di un gruppetto di persone impaurito, che si sta nascondendo, del tutto incerto del suo futuro, che all’improvviso è investito da fragore di tuoni, da vento impetuoso e da fiamme. Bisogna però pensare che all’epoca le persone avevano tutt’altro atteggiamento nei confronti del fuoco. Poteva essere anche pericoloso, ma nella grande maggioranza dei casi rappresentava un’opportunità positiva. Era tutto quello che per noi oggi sono la luce elettrica e il riscaldamento. Per quella gente il fuoco quotidianamente faceva solo che del bene. Grazie al fuoco vedevano e si scaldavano anche quando non c’erano il sole e la sua luce. Certo, anche per loro il fuoco bruciava, anche all’epoca c’erano incidenti molto devastanti, ma anche al fuoco che brucia le culture antiche erano solite associare un concetto positivo: quello della purificazione.

Il fuoco non bruciava: il fuoco purificava. Questo concetto anche gli ebrei lo respiravano. Attorno a loro, nel mondo greco  e romano, si bruciavano i morti secondo questo principio, come una sorte di purificazione finale. E gli ebrei stessi applicavano queste considerazioni ad alcuni dei loro sacrifici. Quando offrivano animali a Dio, o quando gli portavano le primizie della stagione agricola, tutto veniva bruciato, proprio perché arrivasse a Dio il più puro possibile. Il fuoco aveva il potere di togliere ogni impurità, ogni scoria, ogni imperfezione. Bruciava sì, ma il male, quello che non andava, quello che aveva provocato fastidio. Pietro nelle sue lettere ricorre all’immagine del fuoco che sgrezza i minerali e purifica l’oro. Questo è il significato che il Signore vuole che ci ricordiamo ricorrendo all’immagine del fuoco che accompagna lo Spirito. Lo spirito scende e brucia tutto il male che trova, lo elimina e lo fa sparire. 

I discepoli sono atterriti e spaesati. La prima cosa che lo spirito brucia è proprio la paura. Finalmente questa gente può uscire allo scoperto e parlare apertamente senza dubbi. Affrontano il mondo, tornano a vivere, a muoversi, a proporre agli altri la loro storia, perché gli altri possano godere degli stessi benefici. Chi mi ama osserva le mie parole, dice Gesù nel Vangelo. Altrimenti sarete come delle candele con lo stoppino spento. Lo spirito serve proprio a riaccendere ogni stoppino. Quando lo fa con i discepoli finalmente costoro iniziano a sentirsi completi. Funzionano, e possono affrontare solo le preoccupazioni che vanno affrontate, non più quelle inutili, quelle che fanno solo sprecare energie.
C’è poi un altro aspetto importante che il fuoco dello Spirito elimina se lo lasciamo agire. Le diversità vissute come ostacoli. Quando i discepoli escono e gridano a tutti la gioia che avevano nei cuori, tutti li comprendono. Eppure gli atti registrano un lungo elenco di popoli da cui provenivano gli ascoltatori. È un elenco che ci serve perché ci dice che lì erano presenti persone che arrivavano da culture diverse, addirittura da tre continenti diversi, che erano tutti quelli conosciuti all’epoca. Sembra un vero e proprio inno alla diversità, anche se all’improvviso lo Spirito brucia tutta questa diversità e tutti si comprendono.

Forse qualche apostolo avrà anche parlato lingue diverse dalla sua, ma la cosa più sorprendente è che quelle persone avevano eliminato tutto quanto rendeva difficile se non impossibile la comprensione reciproca. Le differenze, le diversità noi le viviamo quasi esclusivamente come ostacoli, come prove, come sfide, come realtà problematiche. Non solo quando gli altri sono quelli che vengono da culture diverse dalle nostre. Questo succede quando gli altri sono le generazioni che si succedono, quando gli altri sono un maschio e una femmina che devono unirsi per creare una famiglia, quando gli altri sono un nuovo gruppo che si inserisce in una comunità o qualcuno che entra in un gruppo affiatato. Per noi questo è sempre traumatico.
Il Signore Gesù giustamente in queste settimane di Pasqua ribadiva che il suo legame con il Padre era tale da renderli inseparabili, uniti nel profondo, come una cosa sola. E questo grazie allo Spirito. Lo stesso spirito che può agire anche in noi. Non elimina le diversità o le differenze, elimina tutto quello che le rende un ostacolo alla nostra convivenza o comprensione. Di modo che ci si possa concentrare esclusivamente su quanto unisce, su quanto lega e su quanto è valido per tutti. Così impareremo a parlare la lingua degli altri, così potremo finalmente intenderci con gli altri.

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