V Domenica di Pasqua *Domenica 29 aprile 2018

Giovanni 15, 1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

La vita vera

Con il Vangelo di oggi torniamo dentro il cenacolo dell’ultima cena. Giuda è già andato, la fine si sta avvicinando inesorabile. Gesù è lì però con i suoi più cari, e si regala un momento di profonda intimità. Cerca di spiegare in qualche modo tutto quello che voleva comunicare concentrandolo in qualche immagine significativa, in modo che tutti lo capiscano. La settimana scorsa era il pastore, oggi è la vite. Questa vite è frequentissima nella Sacra Scrittura, è sempre presente nel legame tra Dio e gli uomini. È il primo regalo che Dio fa all’umanità ricostruita dopo il diluvio, e Gesù promette che ne berrà ancora il frutto nel Regno dei cieli. Ma perché la vite è così importante per Israele? Cosa stava a significare? 

In una sola parola la vite era il simbolo della gioia. Perché era qualcosa che andava oltre l’essenziale. Quello era il grano; quella era l’acqua. Queste sono cose indispensabili, che non possono mancare per la sopravvivenza dell’uomo. La vite potrebbe mancare, invece, e nessuno ne morirebbe senza. Però intorno alla vite l’uomo scopre la gioia, la festa, lo stare insieme, il piacere di condividere le esperienze belle, felici, i momenti più significativi. La vita suggella l’amicizia, quell’amicizia che gli uomini riuscivano a stringere tra di loro e che Dio aveva voluto stringere con gli uomini. La cena di Pasqua degli Ebrei è abbondantemente innaffiata di vino, perché appunto la gioia del Signore è piena in quel momento. E Gesù stesso ha scelto come primo miracolo proprio di trasformare dell’acqua in vino durante una festa di matrimonio. Non poteva essere più chiaro di così. Dio vuole che viviamo nella gioia, nella festa, nella pace. E Gesù aggiunge un aggettivo. Come la settimana scorsa. Non gli bastava dire di essere il pastore, no. Ha aggiunto: quello buono e bello! Anche oggi: non gli basta dire: io sono la vite, no. Aggiunge: quella vera! Perché la gioia non è sempre vera.

Ci sono delle gioie apparenti, che per qualche ora magari ci rendono anche felici, ma in realtà non ci portano da nessuna parte, e dopo poche ore ce ne siamo già completamente dimenticati, o peggio, magari già ce ne vergogniamo. Ci sono invece delle gioie più semplici che una volta dentro di noi possono fare effetto più a lungo. Gioie che ci vengono dalla vita di tutti i giorni. La gioia della vita che rinasce in un mattino in cui troviamo una bella giornata dopo un eterno inverno buio e freddo; la gioia innata dentro la salute o la giovinezza; la gioia tutta particolare che nasce insieme al desiderio di un amore; c’è la gioia di una gita con gli amici o la gioia di una conversazione appassionata; c’è la gioia più impegnativa di uno slancio generoso nei confronti di chi può avere bisogno. Tutte queste cose finiscono dentro quella vera gioia che la vite di Gesù vuole assicurarci. È gioia alla portata di tutti, che però, come la vite, va coltivata, va accudita, va curata.

È per questo che Gesù insiste tanto sul rimanete: «Per avere quella gioia dovete restare con me! Dovete stare, mettervi lì e gustare fino in fondo questo essere con me». Che non vuol dire comunque stare fermi. Perché questo rimanere in lui significa anche, e soprattutto, imparare. E imparare è sempre faticoso. Può essere affascinante, ma è impegnativo. Un lavoro, una scuola, una persona nuova: è tutto bello, ma è tutto come una lingua diversa, che bisogna con pazienza imparare a conoscere. E per farlo Gesù suggerisce di rimanere. Così conosci e impari. Impari anche che hai bisogno degli altri. Con Dio è chiaro. Gesù oggi è fin troppo esplicito: «Rimanete in me, senza di me non potete far nulla!». Una volta che si è stati con Dio e lo si è conosciuto, si sente che non si può fare a meno di lui. Che si ha bisogno di lui. Ma questo vale anche per le persone con cui costruiamo le nostre vite. Un uomo e a una donna insieme formano una carne sola; due genitori insieme generano una nuova vita; una amicizia veramente profonda può attraversare tutta un’esistenza. Uno completa l’altro, ma nel vero senso della parola. Uno aiuta a capire l’altro, uno lo integra, uno lo definisce. Uno ti aiuta a vederti meglio di come a volte ti vedi tu stesso. E intanto insieme si cresce, si matura. Si fa anche fatica, e ci sono le potature. Ci sono cose da tagliare. Ci sono cose da togliere. Ci sono cose da levare via. Ma va bene così. Una volta fatto, si è più leggeri. Una volta fatto si hanno meno pensieri. E soprattutto una volta fatto ci si può meglio concentrare sulla direzione da prendere. Assieme agli altri con cui stiamo percorrendo questa strada. 

Gesù è molto chiaro: una volta che siete con me, potete chiedere quello che volete! Avete una volontà? Bene, usatela! Chiedete. Per voi. Una volta ogni tanto prendiamoci questo lusso. Io sento tante persone dire che bisogna sopportare quello che ci capita, che il Signore ci vuole umili, che bisogna portare pazienza… È vero, ma è vero anche che il Signore ci ha detto espressamente che vuole che gli chiediamo tutto ciò che vogliamo. I nostri desideri mettiamoli dentro la nostra preghiera, presentiamoli al Signore. Allora cresceranno insieme, allora andranno verso la stessa direzione, allora sentiremo di essere rimasti in lui, di essere parte di lui, di avere un futuro con lui. 

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