VI Domenica del Tempo ordinario *Domenica 13 febbraio 2022

Luca 6, 17.20-26

I n quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Aiutaci a diventare esperti di ricerca

Anni fa ho avuto modo di conoscere un signore che nel corso della sua lunga vita è scivolato dentro a quella patologia che si chiama “disturbo da accumulo”. Per anni, ogni giorno o ogni notte, quest’uomo, che sciocco non era, continuò ad andare in cerca di cose abbandonate o buttate accanto ai cassonetti per portarsele a casa. Tutti gli spazi della casa e del giardino pian piano si trovarono sommersi da una infinità di oggetti, spesso guasti o del tutto inutili. Quello che portava a casa, per quanto fosse già tanto, anzi, troppo, non bastava mai e lui, vittima di se stesso, continuò per anni e anni a raccogliere e ad accumulare.

Questo signore è un po’ lo specchio del nostro modo di vivere: penso, ad esempio, a quanti oggetti sono presenti nelle nostre case e non vengono mai utilizzati, nemmeno presi in mano o solamente guardati. Penso ai vestiti che rimangono a invecchiare chiusi negli armadi, ai libri comperati che non vengono poi letti… Eppure, non basta mai.

Gli esperti dicono che il 20 per cento della popolazione della terra – quella che come noi vive nei paesi ricchi – consuma l’80 per cento delle risorse naturali disponibili. Anche se non ci sembra vero, anche se quel che abbiamo non ci sembra essere così sovrabbondante, il nostro modo di vivere consuma troppo e, nonostante questo, tutti desideriamo sempre qualcosa in più. Non ci accorgiamo di vivere la vita come un oggetto da consumare, dimentichiamo l’importanza delle relazioni, di saper guardare “più in alto e più in là”, con il risultato che la vita si fa sempre più stanca, vuota, scontenta e  anche violenta.  

Perché la vita non diventi solo accumulare o perché non sia sprecata nella continua ripetizione di quel che si fa e che si sa, è importante ravvivare giorno dopo giorno l’ascolto della propria interiorità. Cercare, scoprire, coltivare, custodire quello che ci manca, quello che spesso non ascoltiamo o che, pur avendolo percepito nelle pieghe di un desiderio, di uno stupore, di una “mancanza”, di una gioia, di una nostalgia vorremmo dimenticare in fretta.

Non sto pensando a cose materiali, ma a tutto quello che fa essere e diventare uomini, donne, persone contente, rinnovate, vive, migliori.

Se mi fermo a leggere quel che ho vissuto, riconosco che a farmi fare dei passi in avanti è stato proprio il mettermi a cercare, accogliere e rispondere a ciò che mi mancava o a ciò che ancora manca. Non è solo quello che so, che ho raggiunto o le abilità che ho affinato a darmi forza, ma ciò che ancora è da capire, da conoscere, da accogliere, da raggiungere.

Il Vangelo di questo domenica suggerisce questa verità: una persona rimane viva e ha buone probabilità di imboccare la via della realizzazione di sé solamente se si mette in ascolto della fame del proprio cuore, se ascolta, distingue e coltiva i desideri più veri che trova dentro sé.

Oggi si va in cerca di una felicità facile e di veloci soluzioni; si calcano sentieri già segnati, si indossano vite confezionate da altri illudendosi di aver trovato la propria taglia. La scontentezza che spesso ci prende è il frutto di questo modo sbagliato di stare nella vita.  

Si inizia fin da giovani a diventare come quel tipo di adulti che pensa di aver sempre ragione; si confonde l’aver fede con il credere di stare già dalla parte giusta, a prescindere da ogni interrogativo che la realtà, la vita, le persone pongono. Si pensa di essere diventati maturi solo perché di fronte alle urgenze o ai disagi che i tempi ci mettono davanti, si ha la scaltrezza della battuta facile e pronta e non ci si accorge della superficialità accomodante del nostro dire e del nostro fare.

Ogni modo di stare nella vita scivolandole accanto, senza mai lasciarsene interpellare, ogni modo di credere che non diventi incontro con la realtà di sé e che non sospinga a una maggior concreta autenticità, ogni preghiera che non diventa incontro con l’altro è segno
di un'intelligenza impigrita e di fede stordita. Questo modo di vivere e di credere sciupa il buono che c’è in noi, raffredda il cuore, rovina molte amicizie o relazioni riducendole a inconsistenti banalità.

La beatitudine che Gesù proclama nel Vangelo è quella delle persone che cercano, inventano, tentano nuove e buone modalità per scoprire e tentare di saziare la fame e sete di vita, di gioia, di verità, di bellezza, di giustizia, di amore che hanno nel cuore.

Credo che questo tempo incarichi noi cristiani di essere testimoni di una possibile e più vera felicità. Non di quella felicità – lo ripeto – di chi fa della propria esperienza e conoscenza l’unica facile misura, ma di quella che sorride a chi si fa umile cercatore di modi autentici, di modi che non riempiano ogni fame del cuore con quanto piace ma che non nutre, ma di modi di stare al mondo in cui ci sia posto, umanità e pane per tutti.

Chi, in quel che fa e che vive, nel proprio amare, credere, lavorare, pensare, giudicare, operare… tende a migliorare se stesso, senza pretendere che altri migliorino o cambino a sua immagine, è una persona che ha rispetto della vita perché cerca e segue la verità di sé. Chi nel cammino dei propri giorni e della propria fede, nel proprio pensare o nel proprio modo di fare pensa di essere “già arrivato”, anche se è persona di successo, si è fermato, è morto dentro.

Che il Signore ci aiuti a diventare esperti di ricerca, più che pronti ad avere risposte certe e facili.

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