VIII Domenica del Tempo ordinario *Domenica 27 febbraio 2022

Luca 6, 39-45

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. 
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. 
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».

Che discepolo sono? Mi verifico...

Ad ascoltare alla tv o alla radio, alcuni dei tanti programmi di cosiddetto “approfondimento”, o a leggere qualche opinione sui social, se ne esce davvero frastornati: ognuno ha ragione, ognuno ci vede dentro meglio degli altri, ognuno ha la soluzione adatta per mettere a posto le cose in modo spiccio e definitivo. Davvero sembra che le migliori intelligenze italiane siano sprecate e dimenticate: i social-maestri si sprecano. Pare quasi che mettersi dalla parte di chi non sa o di chi vuole imparare, sia mancanza di buon gusto, del tutto fuori luogo e addirittura umiliante.

Come distinguere un buon maestro da uno che la sa raccontare? A parer mio, un buon maestro, oltre che una innegabile preparazione, dovrebbe coltivare alcune caratteristiche. Per primo dovrebbe iscriversi almeno una volta all’anno a un corso di aggiornamento; verificare le proprie idee, convinzioni, posizioni con qualcuno che non gli dia sempre ragione; continuare a vivere per primo (soprattutto se non visto) ciò che indica come precetto agli altri; prepararsi, scrivere sempre gli schemi degli incontri o dei corsi che propone, e ogni tre anni buttare via tutto per ricominciare da capo, senza continuare a ripetersi; non impedire ai collaboratori di dissentire su quel che dice o fa; provare nuove vie per non fossilizzarsi su quel che è convinto di sapere e di saper fare; non prendersi troppo sul serio e ogni tanto ridere di se stesso. Un buon maestro è quello che stimola alla libertà interiore e che non fa dipendere nessuno da se stesso.

Di buoni maestri ce ne sono pochi, si trovano a fatica perché non vanno in cerca di notorietà, ma ce ne sono. Di solito non sanno rispondere a tutte le domande, anzi, sono quelli che invecchiano diventando sempre più cercatori di nuovi modi per vivere quel che credono e per rispondere a ciò di cui c’è bisogno nel tempo in cui vivono.

Un cattivo maestro invece è uno che pur non avendo nessuna esperienza o non avendo mai lavorato, riesce a essere un bravissimo teorico; crede o pretende di avere di diritto l’ultima parola; quando qualcosa non va, non si prende le proprie responsabilità, ma è pronto e abile nel dare la colpa a qualcuno; si sente incompreso, mai abbastanza valorizzato; lamenta che nessuno si sia accorto delle sue innegabili doti.

Un cattivo maestro ha la sala strapiena di discepoli che gli danno ragione, o la chiesa piena di fedeli che vanno a messa solo perché c’è lui che celebra. Un cattivo maestro, credendosi al di sopra della legge e giustificando di volta in volta le proprie ambiguità, pian piano scivola in una doppiezza di vita e crede di essere nel giusto. Di cattivi maestri ce ne sono molti, vanno di moda; di solito durano qualche anno, i più bravi qualche decennio. Ce ne sono ovunque, non occorre guardare lontano, neanche lontano da se stessi.

I maestri buoni indicano la strada; gli altri indicano se stessi come verità. I primi educano, i secondi seducono e spesso, come accade oggi, hanno più successo, perché è più facile seguire e preferire i seduttori che gli educatori.

Ci sono anche discepoli buoni e discepoli che rimarranno sciocchi e vuoti. I primi, un bel giorno salutano il maestro, lo ringraziano e vanno per la loro strada. Gli altri, invece, continuano a cercare sicurezza di sé, verità dei propri desideri e consistenza del proprio pensare, stando sempre alla ricerca delle ultime cose che il loro maestro ha pensato, detto, fatto. Non imparano mai a giudicare da se stessi quel che accade, quel che è buono e vero. L’esperienza mi ha fatto capire che quando un discepolo segue con troppo zelo e dedizione un maestro – anche se illuminato, geniale e magari pure taumaturgico – diventa, nel migliore dei casi, una fotocopia sgranata del maestro. Un discepolo del genere non cresce mai, non porta frutto perché così vivendo si troverà ad aver tradito e tragicamente sciupato il dono che ha in sé.

Gesù dice che la verità e la bontà dell’insegnamento di una persona, non si misura dal numero dei fan, ma dai frutti della sua vita. Si può essere abili affabulatori, gente dalla parola sagace, decisa e chiara, essere capaci di idee innovative e geniali, ma ciò che fa verità è la vita che la persona conduce, vedere che persona è e come reagisce nelle contraddizioni e nelle difficoltà: «Dai frutti, non dalle parole, li riconoscerete».

Se la vita non sta producendo frutti buoni, non è colpa degli altri o dei tempi o del posto in cui sto o di come sono andate le cose. Se la mia vita non produce frutti buoni, se nel corso degli anni non miglioro almeno un po’, qualcosa del mio modo di vivere quello che credo o proclamo, non va nel modo giusto.

Più che giustificare me stesso dando la colpa a ciò che sta fuori di me, posso imparare a coltivare, qualunque sia la mia età, l’umile e difficile esercizio del rivedere me stesso. Parlo della pratica dell’esame di coscienza, esercitato anche nel rivedere le proprie posizioni, nel rimettere in discussione le scelte e i modi di reagire. Ecco un ottimo esercizio spirituale da vivere tutti i giorni.

Non è un esercizio che riguarda solo i ragazzi o i giovani, forse noi adulti ne abbiamo ancor più bisogno. Coltivare quotidianamente se stessi, per non perdere il meglio che abbiamo nel cuore e per non lasciarlo inquinare, inacidire è un impegno per questo tempo. Rivedere e correggere se stessi, non per essere i primi, ma per diventare quel cambiamento che vorremmo vedere presente nella vita degli altri.

Propongo, infine, un altro esercizio spirituale che prendo dall’ultima frase del vangelo di oggi: «La bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».

Mi chiedo: di che cosa parlo nel mio tempo libero? Che cosa guardo quando ho tempo libero? Che cosa faccio quando ho tempo libero?

Sembra banale, ma banale non è. Chi vuole, provi a verificarsi.

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