XI Domenica del Tempo ordinario *Domenica 13 giugno 2021

Marco 4, 26-34

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». 
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». 
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Andiamo “in privato” vicino al Signore

Negli anni delle scuole superiori, un virtuoso insegnante di matematica ci avviò in modo piacevole nelle oscure vie dell’algebra e della trigonometria, e, senza far sconti a nessuno, ci fece conoscere le varie proprietà dei numeri e degli angoli, portandoci amare ciò che insegnava. Tutto sembrava semplice, anche se richiedeva comunque serietà di impegno ed esercizio personale. Quando andò in pensione venne sostituito da un altro che, pur preparato, seguiva un metodo per noi più difficile da comprendere: gli argomenti divennero allora improvvisamente difficili e, un po’ per questo e un po’ per la nostra indolenza, la materia divenne appannaggio per pochi di noi. Gli insuccessi scolastici non tardarono a venire e molti si ritrovarono a settembre per tentare di recuperare voti migliori.  
Il nostro strano modo di giudicare considera banale e di poco interesse quel che viene presentato con semplicità, mentre reputa importante quel che si fatica a capire. A mio parere, chi riesce a presentare con semplicità di linguaggio i contenuti di un concetto, di una materia, di un valore, di un principio non sta svendendo o banalizzando quel che annuncia, ma testimonia che ha piena conoscenza di quel che dice, e il più delle volte questa capacità viene come conseguenza dall’aver vissuto ciò che si annuncia.  

Gesù sceglie parole semplici, ma mai banali: quelle che racconta sembrano storielle e invece rivelano insegnamenti dal contenuto inossidabile, sempre vitali e attuali. Ammiro questa genialità di Gesù: nelle cose che vive e vede, coglie una opportunità per leggere la vita e per trovarvi, come in filigrana, un segno della novità, della grandezza e della verità del Regno di Dio. Da lui imparo che il quotidiano non è mai banale, che il posto in cui vivo non è anonimo, che il presente che vivo non ha perso di densità. A saper vederne la differenza, a saper coglierne la novità e il significato dipende sempre, o quasi sempre, dal modo con cui io guardo la vita. Se i miei occhi sono spenti, tutto risulterà vuoto, inutile, insulso. Se in me non c’è cura per tener vivo lo stupore davanti al reale e se non guardo con un po’ di amore quel che trovo e quel che vivo, nessun posto e nessuna storia, nessuna persona sarà mai considerata buona, ma tutto sembrerà non appetibile, insoddisfacente e noioso.  
Questo modo di guardare la vita che ha Gesù, con passione, il suo saper scorgerne segni che richiamino un “oltre” non ancora raggiunto e che indichino la via per progredire verso un miglior modo di stare nella vita è una virtù che gli educatori devono chiedere con insistenza. A cominciare dai genitori.
Credo che Gesù avesse in sé questa capacità perché amava e viveva ciò che insegnava, e perché amava e stava con coloro cui insegnava. A questo riguardo è molto bella la frase riportata dal Vangelo di Giovanni, quando alcune guardie, mandate ad arrestare Gesù, dopo averlo ascoltato dicono di lui: «Mai un uomo ha parlato così!».

Mi pare che per annunciare la bellezza saggia forte e concreta del Vangelo, oggi ci sia un grande bisogno di tornare a parlare come Gesù, con la semplicità essenziale delle immagini quotidiane, quelle che descrivono il vivere qui e ora; mi pare che ci si sia bisogno di una predicazione e di una celebrazione che riporti il Vangelo vicino e dentro a quel che si vive, che si debba smettere di commentarlo ripetendo solamente ciò che la tradizione ci ha consegnato, di usare parole che siano frutto di esperienza, che non cerchino successo, che diano orientamento ai passi e liberino la vita. Perché l’annuncio sia efficace c’è da tornare ad amare e a vivere quel che si insegna, di tornare ad amare e a stare con le persone cui si annuncia il Vangelo, come ha fatto Gesù.
Anche noi, preti e religiosi, possiamo sempre ricalibrare il nostro dire e il nostro fare su questo modo di essere e di fare che Gesù viveva.

Gesù presenta il Regno, la presenza salvifica e vivificante di Dio, con due micro-parabole in cui parla di semi, di qualcosa che pur essendo molto piccolo contiene l’immensa potenza della vita.
La concretezza con cui Gesù presenta la potenza di ciò che è vivo e buono – il seme cresce pian piano fino al punto di diventare nutrimento, fino ad avere la forza di custodire la vita di chi è più fragile e diverso – mi aiutano a giudicare la verità del mio modo di vivere: riesco anch’io a nutrire la vita di qualcuno? Riesco anch’io a proteggere qualcuno facendogli posto in me e a permettergli di crescere? 
Gesù dice che il Padre, colui che dà vita e che è la vita stessa, sceglie di essere presente in ciò che è così piccolo al punto da non essere notato, come il seme della senape. Dio non cerca di imporre la sua presenza nella visibilità, anzi la nasconde, offrendo ciò che quasi non si vede, che inizia e che – se accolto – fa crescere, nutre, custodisce e ristora.

Mi domando quali potrebbero essere i semi che il Padre getta a piene mani nel campo della vita. Come distinguere quelli buoni da quelli inutili o dannosi? Non c’è una lista uguale per tutti, ma ognuno deve compilare la propria con attenzione, perché Dio dà a ciascuno in modo diverso. Propongo, a proposito questo esercizio spirituale. Scelgo un tempo e ripenso a quei modi che più volte al giorno metto in atto... modi di fare, pensieri, comportamenti, reazioni che si presentano per primi alla mente o nel cuore promettendo di portare una buona soluzione, di farmi felice, di rendere la mia vita forte, ma che una volta messi in atto producono nel mio cuore amarezza, stordiscono e non risolvono, non mi aiutano a essere contento, non nutrono e in definitiva tolgono la fiducia in me stesso. Ecco: questi semi non sono buoni.
Ripenso poi a quei modi di fare, pensieri, comportamenti, reazioni che possono essere giudicati di poco conto, apparentemente anonimi da sembrare inutili o inefficaci, ma che una volta scelti, coltivati e vissuti giorno dopo giorno, portano nutrimento, rafforzano la serenità, aiutano a vedere le cose con occhi nuovi e miti, rinnovano la forza delle scelte fatte, indicano possibilità da percorrere, suscitano proposte nuove adatte ai bisogni e pian piano maturano la vita così che ognuno, come un buon frutto, prenda il proprio sapore. Questi sono i semi della vita, quelli che il Padre semina ogni giorno.
È importante riconoscerli, averne cura, custodirli e farli crescere.

Marco suggerisce, infine, un modo per capire meglio le cose della vita: «Gesù, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa». Abbiamo bisogno di questo “andare in privato” vicino al Signore per chiedergli di spiegarci la parabola della vita: «Fammi capire quello che sto vivendo, quello che vedo, ascolto, provo, faccio…  Che cosa mi rivela di te e di me, della vita, delle persone che mi hai messo accanto?». Fermarsi accanto al Signore è una scelta intelligente e coraggiosa. E per essere concreto mi chiedo: qual è l’ora del giorno in cui posso prendere appuntamento con il Signore?

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