XIX Domenica del Tempo ordinario *Domenica 8 agosto 2021

Giovanni 6, 41-51

Dal Vangelo di Giovanni

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

In comunione con Gesù, in chiesa e fuori

Negli ultimi tempi mi è capitato più volte di sentire la citazione di un famoso aforisma di Marcel Proust: «Il solo vero viaggio, il solo bagno di giovinezza, non sarebbe quello di andare verso nuovi paesaggi, ma di avere occhi diversi». Vedere le cose, chi si incontra, i giorni, gli eventi, le persone che si sono amate e che si amano, i tempi, le scelte, le età, il lavoro con uno sguardo sempre diverso, aiuta a considerare che gli accadimenti della vita hanno qualcosa da insegnarci.
L’esperienza insegna che chi sta continuamente nella fretta, chi ha l’agenda sempre piena, chi vive la vita e le relazioni con un atteggiamento direttivo e padronale, chi quasi mai si lascia interrogare da qualcosa di diverso dal proprio pensare, chi guarda con sospetto o con derisione ciò che si discosta dal proprio modo di fare, è una persona stanca e che vivendo come se tutto le dovesse ruotare intorno, invecchia senza alcun progresso.
Per guarire da questo male bisogna imparare l’arte del fermarsi e dell’interrogarsi, verificando se il proprio modo di vedere aiuta a diventare più consapevoli di ciò che è importante, e a essere un po’ più felici, nutrendo e rinnovando la forza interiore.

Siamo tutti poco allenati a riconoscere la bontà e la ricchezza di quel che si vive e del luogo in cui si sta. Mi viene in mente, a proposito, un suggerimento che Caterina da Siena diede al fratello Iacomo, esprimendosi nell’italiano del tempo: «State, dunque, state contento in ogni tempo, in ogni luogo; perché tutti vi sono conceduti dallo eterno Amore».
Dio non sta solo nell’eccezionalità o nella straordinarietà degli eventi e delle esperienze, ma è presente in ogni luogo, in ogni ora del giorno, in quella noiosa e anonima come in quella intensa, in quella oscura e in quella luminosa, in quella sorridente e in quella più mesta e pesante.
Spesso il nostro modo di vivere non aiuta ad apprezzare la quotidianità per quello che è: non riusciamo a essere consapevoli di quello che silenziosamente è nascosto, benché presente ed efficace e a causa di questa incapacità di nutrirci del presente, andiamo in cerca di soddisfazioni, di appagamenti, di completezza, di forza, di salvezza in ciò che sembra straordinario e eccezionale.
È vero che il Signore si è manifestato e si può manifestare in ciò che ai nostri occhi e alla nostra comprensione appare grande e anche incomprensibile, ma è altrettanto vero che Dio nessuno lo ha mai visto e che il Figlio, «proprio lui ce lo ha rivelato».
Scrivo queste cose nel tentativo di far capire che la comunione con il Signore, prima di essere vissuta in chiesa, si vive imparando a stare nella quotidianità con occhi diversi, con occhi che sappiano notare il segno della sua presenza.
A Gesù, che presenta il suo modo di fare e di essere come nutrimento che porta vita, i suoi ascoltatori, anche molti dei discepoli, rispondono: «No, no... Non può essere così. Tu sei così conosciuto da molti di noi, i tuoi trascorsi sono così banali e condivisi da molti tra noi da essere anonimi. Non può essere che una vita come la tua abbia il potere di salvare, di nutrire, di dare vita». Eppure…

Credo che si fatichi a partecipare all’eucaristia domenicale e che la nostra vita non cambi molto dopo aver ricevuto la comunione perché nella nostra quotidianità viviamo come se Dio non ci fosse. Ad esempio, cominciamo la giornata chiedendogli di custodire i pensieri, le parole, gli affetti, il guardare, l’ascoltare, le scelte, il lavoro… e ci buttiamo nella giornata senza nessuna riserva di forza interiore e, ora dopo ora, anno dopo anno, il naturale disordine interiore associato al peso dei giorni, tramuta la percezione del vivere in fatica, risentimento e frustrazione. Il solo e unico riferimento alle nostre forze, non ci permette di godere della bellezza della vita; la speranza, il coraggio e l’entusiasmo di riuscire a seminare il bene perché sia presente fin da ora e perché possa portare frutto nel futuro viene giudicato come illusione di gioventù.

Perché la vita sia un po’ più felice e leggera bisogna tornare a viverla con l’attenzione, la consapevolezza, la devozione, la fiducia con cui si vive (o si dovrebbe vivere) un atto di culto. Se non ci alleniamo a riconoscere, al di là di quel che si vede, la presenza del Signore nelle persone con cui viviamo o lavoriamo, in coloro che ci parlano, in chi chiede o dà qualcosa, in chi interrompe il nostro fare, in chi anche silenziosamente chiede attenzione… Se non ci alleniamo a fare quel che c’è da fare o che si è scelto di fare, andando oltre il senso del dovere, se non si prova a vivere quel che si fa mettendoci un po’ di amore, un po’ di modo di fare di Gesù, tutto diventerà un peso e poi, non stando in comunione con Gesù nel quotidiano non vivremo poi con autentica consapevolezza la comunione eucaristica in chiesa, con lui.

Gesù si offre come pane, come cibo quotidiano che contiene in sé il coraggio di chi semina, di chi attende, di chi lascia che le cose crescano e si compiano, di chi miete, di chi lavora su quel che ha raccolto, di chi prepara condivide e dona il frutto del suo lavoro.
«Per fare bene la comunione in chiesa, bisogna stare in comunione con Gesù fuori dalla chiesa. E viceversa». È una frase che qualche volta ho detto ai bambini con cui ho condiviso la preparazione alla comunione, e che ripeto anche a me. 

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