XIX Domenica del Tempo ordinario *Domenica 9 agosto 2020

Matteo 14, 22-23

Dopo che la folla ebbe mangiato, subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. 
La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 
Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

Signore, tu sai dove sto andando

Una coppia di genitori scopre che il figlio ha nascosto loro di vivere una seria difficoltà e davanti all’evidenza della gravità della situazione nega ogni cosa, chiudendosi in se stesso e rifiutando ogni forma di aiuto. I genitori sono disperati, tormentati dal senso di colpa, dall’imbarazzo, dall’impotenza del non saper cosa fare e capita che in qualche occasione sfoghino il loro dolore cercando la colpa di quel che accade uno nel comportamento dell’altro.
In una famiglia tutto sembra andar bene. Si tratta di buone persone, gente che ha badato a far sempre bene le proprie mansioni. Dopo anni di impegno, tra alti e bassi, come si dice, i genitori sono riusciti a pagare il loro mutuo e a far studiare i figli che ora iniziano a lavorare. Sì, tutto sembrava andar bene, ma una visita medica di uno dei due genitori, diagnostica l’inizio di una brutta malattia degenerativa. Tutto si trasforma in fatica, in profonda delusione e senso di sconfitta.
La vita è così: proprio quando ti sembra di aver raggiunto un posto tranquillo, gira, cambia passo in modo del tutto inaspettato, portandoci dentro a situazioni non volute, davvero faticose.
Per stare dentro all’immagine del Vangelo, prima o poi la barca della vita, anche se governata da esperti marinai o pescatori, entra in qualche bufera e viene sballottata, anche con estrema violenza, dai marosi dell’imprevisto.
Sono esperienze e situazioni in cui non ci si vorrebbe trovare o che si vorrebbe passassero in fretta, ma non sempre è così. Ciascuno, a proprio modo, deve stare in queste esperienze e scoprire che quello che si era raggiunto con facilità e senza troppo impegno non aveva la consistenza e la forza che si credeva.
Difficilmente ciò che è facile insegna qualcosa, mentre ciò che è difficile può far imparare nuove abilità, allenare la resistenza e soprattutto rivelare un senso prima sconosciuto delle proprie risorse, del proprio compito, del valore della vita stessa. Non tutti riescono in questo intento: c’è chi maledice e chi impara, c’è chi ripete e chi progredisce.
I discepoli, amici di Gesù, dopo essere stati invitati a vivere la compassione prendendosi cura del bisogno della folla e dopo aver partecipato al miracolo donando il poco che avevano, sono ora “costretti” da Gesù stesso a salire in barca e ad andare da un’altra parte. In questo particolare che il Vangelo riporta, vedo il modo che Gesù ha di educare i suoi – e quindi anche noi – a vivere la vita facendo sempre un passo in avanti, un passo verso il “diverso da quello che si sa”, per andare verso quello che non si conosce. Ed è proprio allora che vengono le difficoltà: ciò che è nuovo, diverso, sconosciuto, inaspettato sconvolge sempre, almeno un po’, a tutte le età della vita, anche in quelle in cui si dovrebbe aver già imparato a essere forti.
Chissà quante tempeste avevano già vissuto gli amici di Gesù, eppure ogni tempesta è diversa dalle altre. La fatica, l’agitazione, il vento contrario, la sensazione di non farcela fanno aumentare il senso di inadeguatezza, la paura di quel che non si conosce spadroneggia sugli animi impedendo di far vedere le cose per quello che sono o di trovare possibili vie di soluzione.
Quando ci si trova in queste situazioni niente sembra essere in grado di portare aiuto; la paura di quello che è stato, di quello che può venire, di quello che non conosciamo impedisce ogni scelta, spezza ogni possibile reazione, risucchia ogni forza, uccide l’anima.
«Coraggio, sono io, non temete!”: vedendo i suoi amici dominati dal terrore, “subito” Gesù dice questa parola: coraggio! Com’è evangelica questa parola! Quando una persona si trova nella tempesta non ha bisogno di giudizi, di rimproveri, di «te l’avevo detto…», ma di qualcuno che rimanga, che non scappi, che dica con sincerità questa parola: «Coraggio! Non sei solo».
Un giovane ha compiuto diciotto anni, sta imparando a guidare l’auto e il padre gli insegna come fare. Durante la pausa di un mezzogiorno il padre gli chiede di portarlo con l’auto in paese, per una commissione: è l’ora in cui gli operai tornano a casa per il pranzo e la strada è trafficata. Mentre il giovane guida, si presenta nella corsia contraria il pullman di linea e a destra sbucano delle biciclette e motorini… Il padre vede l’impaccio del figlio e gli dà questo consiglio: 
«Quando ti trovi in queste situazioni non prendere paura e non fermarti, rallenta, punta lo sguardo in avanti, alla mezzeria, lì in fondo alla strada: così prendi la misura e poi vai».
Quando guidando gli si ripresenta una situazione simile, a quel giovane divenuto ora uomo maturo, ritornano in mente le parole del padre. Somigliano a quelle di Gesù: «Non scappare da ciò che ti fa paura, stacci dentro, solo guarda me e vieni verso di me. Io sono qui».
Le tempeste fanno parte della vita; non si possono evitare. Per vincerle non c’è bisogno di atteggiarsi a invincibili spavaldi o fingere che vada tutto bene: forse la vita ci fa provare la sensazione di affondare, di annegare perché possiamo scoprire che salvarsi vuol dire rinnovarsi, scoprendo ciò che davvero conta, e che per farlo è necessario tendere la mano e dire con sincerità: «Signore, salvami!».
C’è bisogno di tornare a vivere una serena umiltà e di mettere quotidianamente i propri occhi negli occhi di Gesù e sentire la sua mano che afferra e salva.
Suggerisco un semplice esercizio spirituale, che mutuo dagli scritti del curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney.
Quando doveva andare in qualche luogo in cui non avrebbe voluto andare, o quando doveva incontrare qualche situazione davvero difficile pregava in questo modo: «Signore, io non so quello che troverò, ma tu sai dove sto andando». Ho sperimentato più e più volte la potenza di questa preghiera. È un modo per far salire Gesù nella propria barca, per far calmare la voce di ogni vento di paura e non essere vinti dalla rabbia, dal rancore o dalla rassegnazione.

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