XV Domenica del Tempo ordinario *Domenica 12 luglio 2020

Giovanni 3, 16-18

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un'altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un'altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».

L'unica terapia per portare frutto è...

Cosa posso imparare da questa parabola? Prima di tutto una cosa: è importante nutrire i pensieri, i sentimenti, le scelte, le reazioni mettendo nel cuore parole buone e concrete, non parole che ci diano ragione ma che traccino il cammino, parole che rivelino nuovi modi di capire e di agire, parole che curino e rasserenino, parole da vivere. 
Un esercizio da vivere ogni giorno è scegliere un tempo per tener viva la nostra interiorità: un po' di silenzio per rivedere e capire quel che viviamo e quel che abbiamo ascoltato o detto, la lettura di un buon testo, fermarsi per qualche minuto e capire un'emozione che stiamo vivendo… sono cose che aiutano. L'esperienza insegna che se una persona nutre la sua vita di sciocchezze, di cose poco trasparenti, di idee facili e scopiazzate invece di portare buon frutto e diventare un possibile punto di riferimento per chi ha accanto, pian piano diventa inconsistente e superficiale.
Gesù, «profeta potente in opere e parole», anche oggi, adesso, dona la sua Parola e lo fa in tanti modi, gettando a piene mani la buona semente, anche lì dove sembra essere sprecata. Ogni giorno attraverso quel che si vive, che si fa, che si ascolta e anche grazie a chi si incontra Gesù dona parole che aiutano a stare nella vita a schiena dritta e a guardare più lontano del posto che si è raggiunto.  

 C'è da imparare, soprattutto in questo tempo, da Gesù a tornare a seminare, e a farlo a piene mani, con sovrabbondanza, ovunque e in qualsiasi modo. 
È proprio in questo tempo, in cui l'insicurezza e una certa scarsità fanno paura a tutti, che bisogna tornare a essere seminatori e pazienti. 
Quando ero ragazzo e ascoltavo questa parabola pensavo che alcune persone, per quello che pareva a me essere la loro vita, fossero il terreno sassoso richiamato nel Vangelo, altre il terreno poco profondo e altre ancora i rovi e così via… Divenuto adulto ho scoperto che il cuore è impastato di tutti i terreni della parabola: in me c'è la possibilità di vivere portando buon frutto e c'è la possibilità di sciupare tutto. Ci sono delle parti di me che tramutano il seme in nutrimento e altre che, se lasciate così come sono, sciupano quanto ricevuto.

 A cosa posso paragonare gli uccelli della parabola? Somigliano alla fretta con cui viviamo le giornate, all'ascoltare in modo finto, distratto, superficiale, senza vera disponibilità; somigliano al modo di vivere che abbiamo oggi, quello che non ripensa mai a quel che si è fatto e non impara da quel che si è provato. Il seme che germoglia subito e subito rinsecchisce somiglia alla persona che vive senza consapevolezza. Somiglia agli entusiasmi che non sono diventati abilità, alle fatiche che non sono diventate esperienza.I rovi che soffocano il seme che cresce, somigliano alle cose non buone da cui ci si lascia dominare. Penso all'invadenza di certi ricordi, al lasciarsi comandare solo da urgenze emotive, al vivere senza regole, al non mettere nessun filtro su ciò che si legge, si vede, si ascolta; al fare ciò che si deve fare senza fiducia in se stessi e senza nessuna fantasia. 
Le persone che vivono così, con il passare degli anni troveranno aumentate in se stesse la sensazione di vuoto, di delusione, di fatica, frustrazione e penseranno di non essere state fortunate, di non aver avuto in dote molte qualità e opportunità e valuteranno con invidia e rabbia i risultati che altri amici o colleghi potranno aver raggiunto lavorando sodo.  Le persone che vivono così sono quelle che sciupano la vita e invecchiano nella lamentela, nel rimpianto, nell'irrequietezza.

 Il Vangelo fa capire che la vita può diventare per tutti un buon campo e questo può essere realizzato grazie all'impegno di ciascuno. Non è mai troppo tardi per iniziare a diventare terreno buono. Come si fa?
La prima cosa è considerare che nessuno è solo e sempre “terreno buono” o solo e sempre “terreno cattivo”. La cosa che aiuta il terreno della propria vita a diventare buono è prendere in mano ogni mattino la zappa del proprio impegno e mettersi a togliere i rovi che si trovano, e continuare a farlo pur sapendo che, anche se tolti, i rovi domani si ripresenteranno germogliati. Il terreno diventa buono raccogliendo e accantonando sassi e pietre, che sono certi modi di pensare e parlare che fanno avere modi invadenti e superficiali. Il terreno va difeso anche dall'avidità degli uccelli, che continueranno comunque a girare intorno, mettendo attenzione e mettendo un po' di cuore in quel che si fa. 
E questo si fa giorno dopo giorno, età dopo età, sempre. Se qualcuno suggerisce facili alternative a questo metodo sta suggerendo bugie e illusioni.
Il seme viene gettato a piene mani, ogni giorno. A ciascuno il compito di non sciupare il dono che porta in se stesso. 

Mi permetto di dire che questo modo di fare vale anche per le nostre comunità. 
Nelle nostre parrocchie, nei gruppi di servizio, nelle comunità religiose, ovunque ci sono e ci saranno sempre pietre da togliere, rovi che soffocano, uccelli noiosi che impediscono al buon seme della Parola di germogliare, di crescere e portare frutto.
Come guarire la superficialità nel vivere il Vangelo che spesso c'è anche nelle nostre comunità? Andandosene? Criticando? Lamentandosi di quello che c'è o di quello che non c'è, di chi c'è, del prete, dei collaboratori, delle iniziative?
La pratica della vita insegna che la realtà migliora e diventa buona se chi ci sta dentro migliora per primo e se, indipendentemente da quel che fanno gli altri, sceglie di farsi più buono. 
Così anche il campo della parrocchia (della famiglia, del mondo del lavoro, del condominio, dei rapporti con i parenti, degli amici…) dà buoni frutti se quello della vita di ciascuno dà buoni frutti. Non ci sono alternative, o almeno io non ne conosco. L'unica terapia per portare frutto è aver fiducia nel seme che è stato messo in ciascuno di noi e mettersi a lavorare sodo su di sé. 

Grazie Signore, perché tu ogni giorno abbondantemente semini e lo fai anche lì dove noi non lo faremo: per questo, aiutaci a riconoscere che il bene può essere anche dove noi non vediamo. Aiutaci a prendercene cura ogni giorno e a togliere da noi stessi, dai nostri modi, dalle nostre parole tutto ciò che ne impedisce la crescita. Fa' delle nostre comunità un campo buono in cui il bene che tu doni cresca e porti frutto anche grazie alla cura di ciascuno.

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