XXVIII Domenica del Tempo ordinario *Domenica 09 ottobre 2022

Luca 17, 11-19

XXVIII Domenica del Tempo ordinario *Domenica 09 ottobre 2022

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.

Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.

Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

La scontentezza che con l’andar degli anni si può provare in se stessi può venire come conseguenza di una vita vissuta con poca coerenza e onestà; può essere manifestazione di un lavoro che non piace o che non si è scelto; per gli affetti vissuti con poca intensità o poco coinvolgimento di sé; per la consapevolezza di aver sciupato delle buone occasioni, per aver perso tempo in stupidaggini, per essersi ingannati e aver ingannato nel voler bene… 

Se uno non impara a capire le cause di queste scontentezze e, finché è in tempo, a provare a correggerne il tiro, i tentativi che metterà in atto per scrollarsi di dosso il malessere che prova, diventeranno pian piano abitudini disordinate. 

Le persone che non si correggono in tempo sono quelle che non chiedono: pretendono. Sono quelle che invecchiando senza aver imparato a governarsi, si lasciano governare dai propri capricci e pretendono che la vita abbia obblighi di riconoscenza nei loro riguardi. 

Le persone così vivono le relazioni (amicali, parentali, genitoriali, matrimoniali, sociali, familiari) mettendo sempre se stesse, le proprie attese, la propria storia, i propri bisogni, i propri programmi davanti a tutto e a tutti. 

Le persone così non si accorgono del buono che quotidianamente la vita porta: sono quelle che non ringraziano mai, anzi, valutano ogni cosa come scontata, inconsistente, banale e, considerandosi unici “maestri” giudicano ogni persona incapace, inadeguata, da sfruttare. 

Queste persone vivono stando sempre a una certa distanza da tutti e da tutto, non si fanno coinvolgere da nulla e, non riuscendo o non volendo entrare in relazione, se ne stanno ai margini della vita, del villaggio, ai margini delle scelte, delle decisioni... Come i lebbrosi del Vangelo, le persone così, si trovano a non essere più persone. Dentro sé provano la sensazione di sentirsi sbagliate, nel posto sbagliato, ma, non volendolo ammettere nemmeno a se stesse, perdono la possibilità di rimediare e di cambiare. 

Cosa c'entra tutto questo con l’episodio raccontato da Luca? Il Vangelo parla sempre della vita, e leggendo dentro la vita, quella propria, si capisce meglio il dono che è. Per questo capisco che quando, orgogliosamente, non ammetto a me stesso di avere un buon margine di miglioramento, di poter fare sempre un passo in avanti verso una miglior consapevolezza di me, della vita e del modo con cui viverla, quando mi considero irrecuperabile, quando mi siedo sui miei difetti, quando mi lascio legare dall’imbarazzo o dalla vergogna di me che a volte provo, allora anch’io sono come i lebbrosi del Vangelo: gente divenuta incapace di contatto, di relazione, gente che ha perduto la propria identità; persone che, non volendo guarire, sono da sopportare nel loro orgoglio, ma solo qualche volta e comunque da lontano. 

Come si può guarire da tutto ciò? Prima di tutto, smettendola di continuare a ingannare se stessi facendo finta di “essere sani”. I lebbrosi prendono coraggio, un coraggio umile e intelligente, e chiedono di essere guariti: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Ecco un’altra cosa che guarisce: smetterla di atteggiarsi o di considerarsi “maestri”, ma di riconoscere che la Verità non è un possesso, ma una via. 

Sì, l’umiltà di chi riconosce di non essere maestro, di non essere la verità, di non essere la risposta, di non stare dalla parte della ragione, di non essere la misura: già questo è medicina e guarigione.  

Appena li vede, così scrive Luca, subito Gesù agisce e indica la modalità per trovare guarigione: secondo l’usanza, i sacerdoti erano gli unici che potevano testare, riconoscere, certificare l’avvenuta guarigione. È come se Gesù dicesse: «Sei guarito! Ora va’ a farti fare il certificato di guarigione. Non essere rassegnato… non c’è nulla di irrecuperabile, muoviti e incamminati verso la guarigione di te, sta’ nella vita credendo che nessun male, neanche quello che è dentro di te, alla fine vince».

I lebbrosi non chiedono altre spiegazioni, ma reagendo a se stessi, si fidano di Gesù e, camminando, guariscono. A che punto del cammino sarà iniziata la guarigione? Dopo un chilometro? Dopo due? Dopo tre? E quanto avranno poi camminato per potersi riconoscersi pienamente guariti? 

Chissà… forse nel caso nostro ci vuole il cammino di una vita, ma, comunque sia, già l’ammettere a se stessi di aver bisogno di guarigione, di fare un passo verso un modo migliore di stare nella vita è già una forma di guarigione e anche solo l’incamminarsi ogni giorno verso una vita più buona e più vera rende più buoni 

e più veri. 

 Il Vangelo fa anche capire come la guarigione, non solo del corpo, ma del cuore e dei pensieri è il saper accorgersi del dono che si riceve e il saper ringraziare. 

Grazie! Una delle prime parole che ci è stata insegnata da piccoli e, quasi sempre, una delle prime che, divenuti grandi, poi si dimentica. Gesù invece dice che fede è anche questo: saper tornare indietro, non stare nella vita (nelle relazioni, nei posti di lavoro, nei matrimoni, nell’adempiere le proprie responsabilità) da pretenziosi padroni, ma da grati custodi; saper riconoscere quel che si è ricevuto e si riceve e dire grazie! 

Come insegnano gli antichi maestri di spiritualità, i monaci del deserto, il cui insegnamento è stato poi riscoperto dai moderni psicoterapeuti, saper ringraziare sgonfia le tensioni, aiuta a sentirsi voluti bene e a voler bene, guarisce dalla mania di credersi onnipotenti e allontana il demonio, che proprio non sopporta la lode e il ringraziamento. 

Propongo questo esercizio spirituale. 

Ripenso alla preghiera «Ti adoro, mio Dio, ti amo, ti ringrazio per...» e provo a completarla scrivendo i motivi, concreti e personali, per cui voglio ringraziare, ogni giorno, il Signore.

Provo poi a cambiare la frase della preghiera. Tolgo le parole «Ti adoro» e al posto della parola «Dio» posso scrivere il nome di una persona con cui vivo o di un amico: «Ti amo e ti ringrazio per…» e provo a completare anche questa con parole che si rifanno a esperienze concrete. 

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