Fatti
1963, l’inizio. E la fine? 60 anni da incompiuta: l’Idrovia che da Padova porterebbe al mare
Un’opera di mitigazione ambientale, ma anche di trasporto delle merci
Un’opera di mitigazione ambientale, ma anche di trasporto delle merci
Al governo c’era Amintore Fanfani e sul piatto vennero sborsati 7 miliardi e mezzo di lire da parte dello Stato e un altro miliardo dagli enti locali delle province di Padova e Venezia. Era il febbraio 1963. Sessant’anni dall’avvio dei lavori e qualche decennio dopo la loro sospensione, ancora si parla dell’Idrovia Padova-Venezia come di una possibile risorsa per il territorio. Se ne occupa da tempo Luigi D’Alpaos, uno dei massimi esperti nazionali d’ingegneria idraulica, e se ne interessano una galassia di piccole e grandi associazioni dai più eterogenei natali, riunite nel Gruppo per l’Idrovia dove fianco a fianco siedono gli imprenditori della GiZip (il Gruppo di imprenditori della zona industriale di Padova), i circoli Legambiente di Piove di Sacco, Albignasego e Selvazzano, la rete Wigwam, gli agricoltori della Cia di Venezia, gli alluvionati di Montegrotto e l’associazione Brenta Sicuro. «Il principio di fondo è che dobbiamo far pace con la natura, la difficoltà è conciliarla con la sostenibilità sociale – spiega Efrem Tassinato di Wigwam, realtà storica nel panorama ambientalista – L’idrovia non può essere più quella immaginata negli anni Cinquanta e Sessanta ma può diventare una di quelle azioni che riequilibra il rapporto tra terra e acqua. Siamo un territorio d’acqua: si è accentuato il problema della carenza a uso irriguo e anche a uso alimentare, i bacini permettono anche il rimpinguamento delle falde e questo permette di avere l’acqua a disposizione per irrigare ma anche per ogni altra necessità». Se fino a ieri il secondo fine per il grande canale navigabile pareva dovesse essere la mitigazione delle piene stagionali di Brenta e Bacchiglione, anni di siccità hanno portato a riconsiderare in positivo la presenza d’acqua anche nei mesi più torridi: «I pozzi storici si stanno sempre più abbassando – continua Tassinato – A Piove di Sacco ne abbiamo uno in muratura di origine medioevale ma sono già due o tre estati che non si riesce a pescare più acqua. Parliamo di un pozzo profondo 8 metri quando, di solito, in questa zona bastava scavare due metri per trovare l’acqua». Ma quella del canale non è solo una storia di mitigazione ambientale e di possibile risoluzione alla pure incombente desertificazione della pianura e alla risalita del cuneo salino: l’opera, infatti, rimane un’infrastruttura importante per la mobilità delle merci.
«Se andiamo a guardare i container da Marghera perdiamo tempo, gli scambi commerciali prenderanno altre rotte e le barche dall’idrovia potranno dirigersi verso Ancona, Ravenna o Trieste e persino Brindisi – come il suo solito non usa mezzi termini Roberto Caon, deputato per due legislature fino allo scorso ottobre – È sbagliato chiamare il canale Padova-Venezia, insomma, bisognerebbe chiamarlo Padova-Adriatico perché le merci possono essere dirottate dove serve. All’Adriatico serve un interporto, se non lo facciamo noi lo farà e lo sta già facendo Mantova che ha la Zls, zona logistica speciale, con annesse tassazioni agevolate». Caon è uno di quelli che l’idrovia la conosce bene: vigontino, sua è la firma sulla mozione con cui il Parlamento approvava il completamento dell’opera e sua è anche l’iniziativa per cercare di intercettare i fondi del Pnrr con cui finanziarla. «L’unica opera menzionata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza è l’idrovia – continua l’ex parlamentare – e questo, secondo me, è il documento più bello in materia. Se vogliono farla, possono partire con i progetti quando meglio credono, sarebbe una grande occasione di sviluppo per il territorio, seguendo il progetto del 2016. Stiamo parlando di 500 o 600 milioni di euro, “bazzecole” per il bilancio dello Stato ma se non abbiamo politiche serie in mano, rimarranno cattedrali nel deserto». Le chiuse dell’idrovia stanno lì da decenni, abbandonate come i viadotti che si ergono di slancio sui campi di soia e mais. Chi c’è cresciuto vicino ormai quasi non li vede più stagliarsi all’orizzonte ma ha notato non senza curiosità l’iniziativa del Consorzio di bonifica che su quello che avrebbe dovuto essere il greto del canale ha realizzato alcuni invasi, vasche di raccolta per l’acqua divenuta carente. «Vogliamo il canale scolmatore, sì o no? È un’altra decisione politica» pungola Caon, richiamando all’appello in primo luogo la Regione Veneto. È alla politica che si guarda dal 2016 quando la Regione stessa commissionò un progetto preliminare di completamento, lo stesso che viene ciclicamente presentato e dibattuto nei Comuni e nei circoli rivieraschi per tenerne viva l’attenzione, ma da allora poco è stato fatto. Anche il Pnrr che sembrava esser cosa fatta pare essere sfumato, lasciando sul campo solo una domanda: vogliamo davvero completare l’idrovia?