Idee
22 aprile. Giornata della terra. Boschi e foreste da riprogrammare
22 aprile. La Giornata della terra 2022 ha per tema “investire sul nostro pianeta”. Tra le cose di cui prenderci cura c’è il nostro patrimonio forestale
22 aprile. La Giornata della terra 2022 ha per tema “investire sul nostro pianeta”. Tra le cose di cui prenderci cura c’è il nostro patrimonio forestale
L’ adagio insegna come faccia più rumore un albero che cade rispetto a una foresta che cresce, ma sono gli eventi catastrofici di per sé a suscitare l’interesse del pubblico verso la tutela del patrimonio boschivo o di ciò che abbiamo, non si sa come, imparato a descrivere unicamente in ragione di un colore: il verde.
Talvolta, per esempio, si tende a dimenticare come il bosco sia un sistema vivo che necessiti di cure. Lo sanno bene nel Comelico dove, si racconta, la festa degli alberi coi bambini si organizzava certi anni mettendo a dimora le piante e tagliandone altre. «Su questo ho fatto molta ironia anch’io perché sarebbe il modo giusto di festeggiare gli alberi adesso che abbiamo tante piante e abbiamo la necessità di svecchiare le nostre foreste – esordisce Davide Pettenella, docente di economia e politica forestale all’Università degli Studi di Padova – Il problema grosso è che in Italia c’è questa idea, a partire da Stefano Mancuso, che tagliare un albero maturo sia un delitto ecologico».
Così non è, secondo il docente padovano, al punto da riassumere la questione con una battuta: «Sarebbe come chiedersi come possiamo cogliere delle mele senza tagliar l’albero». Dalla notte dei tempi, piantare alberi va di pari passo con il loro taglio e con lo sfruttamento del legname: «La silvicoltura è una tecnica che ha un consolidato scientifico alle spalle e ci insegna a gestire le foreste anticipando quello che la natura farebbe – continua Pettenella – Invece di aspettare il deperimento e la morte delle piante, queste possono essere tagliate facendo attenzione che vi sia la rinnovazione del bosco». Un sistema virtuoso e sostenibile di gestione dei boschi è quello adottato da secoli nelle zone del Cadore che mira tanto a rinnovare il bosco quanto a salvaguardare il legname che è, oggi forse meno che in passato, fonte di ricchezza anche per quanti abitano a margine del bosco. «Negli ultimi anni, sia per la realtà del mercato che per mancanza di investimenti e di lungimiranza della politica, molte delle nostre foreste sono invecchiate – spiega il docente padovano – Non sono state fatte le infrastrutture e quindi è venuta meno la filiera che collegava la gestione delle foreste con le segherie. Questo ci ha portati a essere sempre più dipendenti dall’estero e a importare al 20 per cento legname di origine illegale, rendendoci responsabili della distruzione delle foreste nel sud del mondo».
Una foresta sfruttata per decenni e non accompagnata nella transizione è per sua natura fragile, bisognosa di attenzioni. «In Italia dobbiamo ritornare a fare programmazione, a gestire attivamente le foreste – continua Davide Pettenella che è anche fra i relatori della nuova Strategia forestale nazionale – Alcune magari hanno raggiunto già un loro equilibrio e possiamo metterle in una situazione di tutela assoluta, nella prospettiva di ricreare delle foreste vergini, ma una parte di quelle che sono state invece utilizzate intensamente per secoli devono essere curate con attenzione. Devono essere arricchite di specie, diradate perché frutto di piantagioni molto intense, difese dagli incendi, rinnovate quando invecchiano anche per evitare gli attacchi degli insetti».
L’esperienza della tempesta Vaia ci ha dimostrato quanto sia attuale questo approccio con l’apparizione del bostrico, un coleottero la cui presenza si è diffusa come un’epidemia grazie alla presenza di abeti schiantati. «Tutte cose dette e scritte più volte – conclude Pettenella – È vero che in alcune aree la forza del vento avrebbe buttato giù qualsiasi foresta, anche la meglio gestita. Però in molte aree sono stati buttati a terra boschi piantati e mai diradati, fittissimi e con le piante molto vulnerabili». Torna, insomma, il tema della cura preventiva del bosco rimettendo al centro tanto la tutela dell’ambiente quanto la valorizzazione di una filiera del legname responsabile, dove la segheria venga percepita più come un’opportunità che come una privazione.
Obiettivo ambizioso quello fissato dal Green deal europeo, il piano dell’Unione per la conversione ecologica, che prevede di piantare tre miliardi di alberi supplementari in Europa entro il 2030. Su MapMyTree si può seguire l’avanzare dei lavori.
Pubblicata nel febbraio scorso, la Strategia forestale nazionale si prefigge di portare il Paese ad avere foreste estese e resistenti, ricche di biodiversità, capaci di contribuire alle azioni di mitigazione e adattamento alla crisi climatica, offrendo benefici ecologici, sociali ed economici per le comunità rurali e montane. Per farlo deve convivere con il raggiungimento di obiettivi climatici, ambientali, di tutela della biodiversità e di sviluppo socioeconomico sostenibile sottoscritti dall’Italia in sede europea e internazionale. Tra questi c’è la politica denominata Farm to Fork, dalla fattoriaalla forchetta, che la Commissione europea ha introdotto nel 2020 per rendere il nostro sistema alimentare più equo, sano e rispettoso dell’ambiente.
Strategia forestale nazionale ma anche Giornata della terra che si celebra a livello internazionale il 22 aprile. Sono tanti gli aspetti d’attualità quando si parla di tutela ambientale, soprattutto degli alberi. Da vent’anni un’eccellenza in materia è padovana: Fsc Italia, nata all’interno della facoltà di scienze forestali dell’Università di Padova, è direttaemanazione dell’omonima organizzazione internazionale non governativa, indipendente e senza scopo di lucro, nata nel 1993 per promuovere la gestione responsabile di foreste e piantagioni. Come ricorda Diego Florian, direttore diFsc Italia: «Oggi il più importante marchio di riferimento nel nostro Paese per numero di prodotti, visibilità e riconoscimento da parte dei consumatori». In Italia sono oltre 75 mila gli ettari di foreste certificati su 11 milioni totali, in aumento del 10 per cento a livello annuale. In crescita di oltre il 12 per cento i proprietari e le aziende che si possono fregiare del marchio di certificazione. «Nel 2001 non si parlava neppure di certificare prodotti in settori come il tessile – spiega il presidente di Fsc Italia Mauro Masiero – era impensabile investire nella verifica dei servizinaturalmente offerti dai boschi, come lo stoccaggio dell’anidride carbonica, la preservazione della biodiversità, il mantenimento del ciclo dell’acqua, la preservazione del suolo e la valorizzazione delle opportunità turistico-ricreative eculturali, i cosiddetti servizi ecosistemici. E non si parlava neppure di boschi urbani». Due le certificazioni disponibili: quella per la gestione forestale e quella relativa alla di custodia. Se quest’ultima garantisce la rintracciabilità dei materiali provenienti da foreste certificate ed è richiesta da tutti quei prodotti che impiegano legno o derivati, la gestione forestale mira ad assicurare le migliori pratiche per la tutela del bosco e della piantagione. «Abbiamo un patrimonio territoriale incredibile che non abbiamo saputo valorizzare a dovere – conclude Claudio Feltrin, presidente nazionale di Federlegno Arredo – Ora siamo tutti più consapevoli e dobbiamo trovare soluzioni di sostenibilità. Con Fsc siamo nella giusta direzione: il mercato riconosce questi sforzi».