Fatti
365 giorni di guerra in Ucraina. Il viaggio a Kiev della premier Giorgia Meloni
Alexey Yudkevych è un medico di guerra ucraino, è un combattente e già nel 2014 è stato al fronte, da volontario.
FattiAlexey Yudkevych è un medico di guerra ucraino, è un combattente e già nel 2014 è stato al fronte, da volontario.
Nel marzo 2022, assieme al suo equipaggio, ha messo in salvo 1.300 connazionali a Chernihiv. Attualmente è a Donetsk, dove la sua squadra ha fornito cure mediche a più di 800 persone, ma a fine novembre si è trasferito per qualche giorno a Kiev per tenere un corso di formazione di primo soccorso al personale del Museo nazionale d’arte Bohdan e Varvara Chanenko. Le foto di quell’occasione sono dissonanti, lui in tuta mimetica militare circondato da quei pochi quadri ancora appesi e da carte da parati damascate rosse e dorate; ma sono testimonianza di una quotidiana resistenza che innerva un Paese invaso da ormai un anno. A ottobre un’esplosione ha danneggiato una facciata del museo nazionale, sbriciolando i vetri in mille pezzi così come porte e strutture secolari. Dall’invasione per mano dei carri russi iniziata il 24 febbraio 2022, le opere principali sono al sicuro (tra cui la Pace di Antonio Canova), ma questo non ha impedito ai gestori del museo di riaprire, offrendo ai visitatori esposizioni temporanee, momenti di cultura, seppur con la raccomandazione di rifugiarsi alla stazione metropolitana più vicina al primo grido di allarme aereo. Sono gli anticorpi a una guerra piombata in casa per volere di Putin. Non meno dignitosi e valorosi di chi impugna armi, presta aiuto nelle zone più calde o attraversa l’intera Ucraina per portare viveri e generatori agli anziani e disabili che non possono lasciare le loro terre. Le avvisaglie, sotto forma di un prolungato ammassamento sul confine delle forze russe, erano già iniziate nella primavera 2021, motivate dal presidente russo dal timore di un’adesione dell’Ucraina alla Nato. Poi l’indipendenza, riconosciuta dalla stessa Russia, di due Stati autoproclamatisi nella regione del Donbass, all’interno dei confini dell’Ucraina, la Repubblica Popolare di Donetsk e la Repubblica Popolare di Lugansk. Il 24 febbraio 2022, alle 4 del mattino, è iniziato un nuovo secolo accompagnato dall’inquietante annuncio del leader di Mosca, “un’operazione militare speciale” che avrebbe «smilitarizzato» l’Ucraina. All’orizzonte sirene, un fumo nero e denso sempre più vicino, le esplosioni. Poi i palazzi dilaniati, le campagne conquistate. La centrale nucleare di Zaporižžja viene occupata dalle forze russe, entrando nei nostri discorsi assieme alla preoccupazione di una deriva nucleare. L’escalation è testimoniata dai volti, abbracci, dalle notti nella metro, dagli animali domestici inseparabili per molti cittadini; ma sono soprattutto i saluti di mogli e madri che fuggono a ovest mentre i loro mariti, padri e figli vengono chiamati a proteggere la patria. Impresso e impressionante è il tweet di Filippo Grandi, a capo dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati: «Due milioni di ucraini hanno lasciato il Paese». Ed era solo l’8 marzo. Come un effetto domino, il conflitto ha causato la maggiore crisi per l’accoglienza di rifugiati in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale: oltre 13 milioni di persone sono rifugiate nei Paesi limitrofi e oltre 7 milioni sono sfollate all’interno dell’Ucraina. Tutto questo a due passi dall’Europa, anzi nella stessa Europa, sembrava irreale, ma 365 giorni dopo è ancora realtà. In pochi, all’alba del conflitto, si sarebbero aspettati un perdurare così lungo: la sproporzione di forze, in termini di uomini e di artiglieria pesante, sembrava così schiacciante da presagire una capitolazione di Kiev nel giro di poche settimane. Nel mezzo, però, scorrono sangue e lacrime di civili innocenti. Quanti? Le stime non saranno mai ufficiali: Unhcr, al 13 febbraio, ha registrato 7.199 vittime civili e 11.756 feriti. La coscienza umana inorridisce per il bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol e per i crimini di guerra perpetrati come piano spietato nell’attacco con bombe a grappolo sulla stazione ferroviaria ucraina di Kramatorsk e nel mas sacro di Bucha, esecuzioni sommarie di civili, cadaveri lasciati lungo le strade, con le mani legate, negli scantinati, i segni delle violenze anche su nove bambini, le fosse comuni. E proprio a Bucha, la premier Giorgia Meloni ha deposto un mazzo di fiori, martedì 21 febbraio nel suo viaggio diplomatico: «Credo sia doveroso essere qua per ribadire la posizione del Governo italiano e forse anche rendersi conto personalmente di quel che serve a un popolo che si batte per la libertà. È sempre diverso vedere con i propri occhi e credo che aiuti anche gli italiani a capire». Il sostegno diretto a Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina, che la notte del 25 febbraio 2022 gelò i leader politici riuniti nel Consiglio europeo in videoconferenza: «Questa potrebbe essere l’ultima volta che mi vedete vivo». Quello che agli occhi del mondo sembrava un epilogo si è poi trasformato in determinazione: «Siamo tutti qui. I nostri militari sono qui. I cittadini sono qui. Siamo tutti qui a difendere la nostra indipendenza, il nostro Paese, e così continueremo a essere». Determinazione in mimetica e social, certamente per fomentare il suo popolo impegnato in guerra, ma anche per non scoprire il fianco al nemico Vladimir Putin. E a rincarare la dose è la foto simbolica alla vigilia del primo anno di guerra: il presidente degli Stati Uniti Joe Biden abbraccia l’omologo ucraino sullo sfondo di un muro di volti, centinaia e centinaia di fotografie, di uomini e di donne. Sono gli ucraini morti in battaglia dal 2014. Ma il leader del Cremlino, qualora ci fossero dubbi, taglia corto (anzi non cortissimo, essendo stato il suo discorso all’Assemblea federale, uno dei più lunghi, quasi due ore): martedì ha annunciato la sospensione del trattato Start sulla riduzione delle armi nucleari in vigore con gli Usa. «Raggiungeremo i nostri obiettivi: volevamo la pace ma l’Occidente ci ha ingannato. Non stiamo combattendo contro il popolo ucraino, ma è il popolo ucraino a essere ostaggio del regime di Kiev e dell’Occidente». La guerra va avanti, i negoziati non hanno fatto un solo passo.

Secondo i dati in mano all’International Institute for Strategic Studies, istituto di ricerca britannico nel campo degli affari internazionali, Germania, Francia e Italia invieranno all’Ucraina poco meno di quattromila carri armati moderni. All’Ucraina la Francia manderà alcuni dei suoi carri leggeri Amx-10, la Germania 14 carri Leopard e sistemi antimissile; l’Italia non si è pronunciata. L’Olanda conferma la fornitura di qualche F-16, mentre la Slovacchia ha scelto di inviare i suoi vecchi aerei Mig-29 sovietici. La Polonia, che avverte una minaccia diretta, consegnerà subito i carri armati Leopard non di ultima generazione e cannoni antiaerei. La Spagna contribuisce con pezzi di ricambio e insieme al Portogallo con sette Leopard. I Paesi Baltici sistemi di difesa Stinger, quattro elicotteri, droni e munizioni. I russi non danno cifre ufficiali, ma secondo l’IIss hanno a disposizione 15.857 tank.
Sono passati quasi dieci anni da quel novembre 2013 in cui migliaia di cittadini ucraini si radunarono in Piazza Maidan, sventolando bandiere europee per chiedere un futuro per Kiev che guardasse a ovest e non alla Russia. Un nuovo corso per l’Ucraina, segnato prima dall’accordo di Associazione con l’Ue nel 2014 e, nel 2019, dall’inserimento in Costituzione dell’Unione Europea come ambizione strategica per il Paese. In questi anni, però, c’è stata anche l’annessione russa della Crimea e un lungo conflitto definitivamente esploso lo scorso febbraio 2022. Il 24 giugno si è conclusa la prima fase, con la decisione all’unanimità del Consiglio europeo che ha conferito all’Ucraina lo status di Paese candidato all’Ue, e se ne è aperta una seconda, in cui Kiev dovrà dimostrare di sapersi conformare ai parametri comunitari e dare senso alle ambizioni europee.

La premier a Kiev e nei luoghi dove sono morti innocenti
«Una parte del mio cuore sperava in parole diverse sulla possibilità di mettere fine a questa guerra. Invece abbiamo ascoltato parole di propaganda che già conoscevamo — sono le parole dure del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, appena fuori dalla chiesa di Sant’Andrea a Bucha, nei luoghi del massacro causato dai soldati russi nel marzo 2022 – Ma i fatti sono diversi da quel che Putin racconta. Lui è l’aggressore e l’Ucraina è la vittima dell’aggressione». Nella sola Bucha sono stati ritrovati i corpi di 458 civili; ad agosto 2022 invece sono stati accertati 1.300 morti nell’area dell’Oblast’ di Kiev occupata dai russi. Giorgia Meloni, osservando i palazzi divelti e gli alberi carbonizzati, ha aggiunto: «Lui è il responsabile di tutto questo. La propaganda russa dice che qui in Ucraina c’è un regime e che loro vogliono liberare il popolo ucraino. Ma io qui non vedo un regime, vedo gente che chiede al governo di combattere contro i russi. Sono venuta a vedere a caldo la vita della gente distrutta senza che ci sia una ragione».