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Mappe IconMappe | Mappe 16 – Il biologico – luglio 2023

martedì 11 Luglio 2023

Bio in Veneto. Un orizzonte al momento lontano

Bio in Veneto Meglio le regioni del Sud; meglio tutte tranne Lombardia e Valle d’Aosta. Sulle superfici coltivate biologiche, la nostra regione deve lavorare

Gianluca Salmaso

Dalla fattoria alla forchetta, letteralmente. Il piano Farm to Fork varato nella primavera 2020 dall’Unione Europea si propose fin da subito il non facile compito di declinare la strategia ambientale della Commissione europea, il cosiddetto Green deal, in ottica agricola dandosi un orizzonte temporale decennale. «È la prima volta che l’Ue cerca di progettare una politica alimentare che proponga misure e obiettivi che coinvolgono l’intera filiera alimentare, dalla produzione al consumo, passando naturalmente per la distribuzione – annunciava entusiasta Slow Food all’inizio di giugno 2020 – L’obiettivo di fondo è rendere i sistemi alimentari europei più sostenibili di quanto lo siano oggi. Ogni Stato membro dell’Ue dovrà seguire tale politica, adottando norme a livello nazionale che consentano di contribuire a raggiungere gli obiettivi stabiliti dell’Ue». Sicurezza alimentare e produzione sostenibile in un orizzonte di filiera ugualmente sostenibile e al contempo promuovendo alimentazioni sane, riducendo gli sprechi e combattendo le frodi alimentari, il tutto dimezzando i pesticidi chimici e gli antimicrobici entro il 2030. «Da anni Slow Food chiede che venga messa a punto una politica alimentare comune – continua il movimento della chiocciola rossa, fondato da Carlo Petrini nel 1986 – Riteniamo infatti che per giungere a un cambiamento radicale sia essenziale un approccio olistico, che affronti in modo coordinato non solo la produzione alimentare, l’agricoltura e il commercio, ma anche la qualità del cibo e dell’ambiente, la tutela della salute, la gestione delle risorse e del territorio, l’ecologia, oltre naturalmente alla salvaguardia dei valori sociali e culturali legati all’alimentazione».

La chiave è il biologico

Uno degli obiettivi contenuti nella strategia europea Farm to fork (F2F) riguarda il raggiungimento entro il 2030 del 25 per cento della superficie agricola continentale coltivata secondo i canoni del biologico. In Italia uno dei documenti chiave è il Piano d’azione, recentemente presentato dal ministero dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, che però non ha mancato di sollevare le perplessità di Coldiretti: «Tra le criticità si evidenzia un evidente deficit operativo rispetto agli obiettivi che lo strumento stesso intende raggiungere – scrive in una nota l’associazione che rappresenta gli agricoltori – Il testo presentato infatti, nonostante l’efficace e puntuale descrizione analitica della situazione del comparto, appare carente nella definizione di dettaglio delle azioni previste e delle relative modalità di attuazione». Bene la teoria, o come la definisce la stessa Coldiretti «l’ambizione strategica», ma manca una visione chiara di come fare a trasformarla in buona pratica. Proprio come a scuola, insomma, se va bene si è rimandati a settembre.

E il Veneto?

Nel 2022 la superficie biologica italiana ha superato i 2,3 milioni di ettari, evidenziando una crescita del 7,5 per cento pari a quasi il doppio del tasso di incremento registrato nel 2021. Le coltivazioni biologiche oggi rappresentano il 18,7 per cento del totale delle superficie agricola utilizzabile censita dall’Istat, (terza in Europa dove la media è del 9,2 per cento) a pochi punti di distanza dalla soglia del 25 per cento indicata dalla strategia Farm to Fork. A oggi sono già sei le regioni che hanno superato questo target: Toscana, Marche, Lazio, Basilicata, Calabria e Sicilia. Il Veneto non fa altrettanto bene. Secondo il rapporto “Bio in cifre”, pubblicato nei primi giorni di luglio da Ismea e Ciheam Bari, nel 2022 in Veneto, l’incidenza della superficie agricola utilizzata biologica sul totale coltivato in regione è del 5,8 per cento. Seppur in miglioramento rispetto a quattro anni prima (era solo il 4,9 per cento) il Veneto si colloca nella parte bassa della classifica, al 18° posto su 20 regioni, (solo Lombardia e Valle d’Aosta fanno peggio) con Toscana in cima con il 35,8 per cento, seguita dalla Calabria con il 35,7 per cento e dalla Sicilia con il 28,8 per cento. In Veneto sono trainanti la coltivazione di cereali con 10.718 ettari utilizzati, le viti con 9.712 ettari e, infine, la frutta con i suoi 2.693 ettari. Anche la carne ha il suo distretto biologico: dopo le prime, pionieristiche esperienze negli anni Novanta e con il settore lattiero-caseario a farla da padrone, una piccola nicchia per le carni si va creando pur tra elevati costi e risultati economici altalenanti. Sempre nel 2022, in Italia si sono registrati 92.799 operatori biologici; di questi 3.790 sono in Veneto e ancor più nel dettaglio 82 sono importatori, il numero più alto dopo la Lombardia a livello nazionale.

Ma chi lo beve il vino biologico?

«Il problema casomai è diventato un altro – scrive Luciano Fiordiponti, autore del blog “The Catcher in the wine”, in un articolo su Dissapore.com – L’80 per cento dei vini italiani certificati in biologico vola all’estero, primo mercato l’Australia. Ora, non intervenire in cantina per poi far volteggiare il proprio vino sul pianeta a bordo di un jet non sembra la scelta più green che si possa fare. E cavalcare il mercato dovrà pur avere qualche paletto etico, altrimenti il discorso sulla sostenibilità potrebbe perdere valore». Con poco meno di 88 mila ettari coltivati a vigneto, in Veneto è la terza regione in Italia per superficie biologica. Produrre vino bio ha il suo principale limite nei costi elevati: secondo il 61 per cento dei produttori serve più manodopera rispetto a colture più tradizionali e più specializzata, a fronte di rese inferiori e variabili e a una legislazione complessa del settore. La proposta evidenziata da un report di Veneto Agricoltura è quella di investire nella meccanizzazione e nel rimpianto di nuove varietà più resistenti oltreché in un’ottica di differenziazione della produzione. Se il 31 per cento delle aziende non esportavano al momento del report, altrettante esportavano più del 50 per cento della produzione con destinazioni Regno Unito, Stati Uniti e Canada. «Si tende a sovrapporre o confondere il metodo biologico con quelli biodinamici e naturali, fatto che non agevola i consumi e la presa di coscienza dei consumatori – si legge nel report di Veneto Agricoltura – Questa ambiguità si riflette proprio sulle abitudini di consumo: per bere vini naturali occorre abituare il palato e il più delle volte non si è ancora pronti, con la conseguenza di non esserne appagati». Consumatori “ignoranti” o vini di qualità scarsa? Il pezzo di Fiordiponti in cui bacchetta Vinicio Capossela e i suoi vini naturali non lascia spazio a dubbi, ma per chi non ha una grande cultura enologica il rischio concreto è di perdersi in un mare di opinioni e sensazioni. Tutte rigorosamente tanniche.

Il passaggio tradizionale-biologico

Quanto dura la conversione da tradizionale a bio per le produzioni vegetali, come colture annuali e pascoli? Se il raccolto ha luogo durante i primi 12 mesi di conversione, il prodotto può essere venduto solo come “convenzionale”; se il raccolto ha luogo dopo i primi 12 mesi di conversione, si fa riferimento a “prodotto in conversione all’agricoltura biologica”. Le colture possono essere etichettate come “prodotto biologico” e fregiarsi del logo Ue dopo 24 mesi.

Correlazione tra vini non bio e pesticidi

Tema scottante quello del biologico legato al vino, sia perché da un lato la moda sta spingendo verso i cosiddetti vini “naturali”, sia perché le popolazioni residenti nei pressi delle culture spesso lamentano come i vitigni non-bio facciano abbondante uso di agenti chimici.

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