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Mappe IconMappe | Mappe 06 – I dati personali – aprile 2022

martedì 12 Aprile 2022

I dati sono il nuovo petrolio. Le nostre impronte “digitali”

Miliardi di informazioni personali gestite da poche, ma potentissime lobby. E cosa succede quando finiscono in mani criminali?

Giovanni Sgobba
Giovanni Sgobba
redattore

«Governi del mondo, stanchi giganti di carne e di acciaio, io vengo dal cyberspazio, la nuova dimora della mente. A nome del futuro, chiedo a voi, esseri del passato, di lasciarci soli. Non siete graditi fra noi. Non avete alcuna sovranità sui luoghi dove ci incontriamo». Con questo appello, il poeta e attivista statunitense John Perry Barlow, presentava nel 1996 la Dichiarazione di indipendenza del cyberspazio, scritta in risposta alla “Telecommunications act” americana: un manifesto che rivendicava la libertà di internet fuori dai confini di qualsiasi Paese e su cui non dovevano essere applicate leggi da parte di nessun governo. Dieci anni dopo, nel 2006, il matematico britannico Clive Humby affermava che «i dati sono il nuovo petrolio» e, senza rendercene troppo conto, società e Nazioni sono piombate nella quarta rivoluzione industriale. Web incluso. Il corpo umano è formato al 70 per cento da acqua, ma al 100 per cento di informazioni e dati. Ogni azione inconscia o consapevole che compiamo è un dato. Il numero di battiti al minuto produce un dato. Le nostre abitudini alimentari o gusti musicali sono dati. A che ora ci svegliamo o andiamo a dormire sono dati. I nostri like su Facebook? Dati anche quelli. Una piramidale crescita, un tesoro in mano a pochissime mani al punto che Shoshana Zuboff, docente di amministrazione aziendale all’università di Harvard, parla di «colpo di stato cognitivo» perpetrato da una ristretta, ma potentissima lobby che ha il suo quartier generale nella Silicon valley californiana. Forti delle loro capacità di sorveglianza e spinti dalla necessità di accumulare profitti, i nuovi imperi privati hanno architettato un rovesciamento del potere basato su una concentrazione senza precedenti di informazioni sul nostro conto e sul potere incontrollato che ne deriva: «La tragedia dell’11 settembre 2001 ha trasformato il dibattito, spostando l’attenzione dalla necessità di approvare leggi in difesa della privacy alla raccolta totale delle informazioni. Nel 2013, il direttore della sezione tecnologica della Cia spiegava che la missione del suo ufficio era “raccogliere tutto e conservarlo per sempre” e riconosceva il ruolo delle grandi aziende del web – tra cui Google, Facebook, YouTube e Twitter oltre alle compagnie telefoniche – nel renderla possibile». A governance, privacy e democrazia mai come oggisi richiede riposte decise per superare “l’insicurezza” informatica, ora che la digitalizzazione ha ingigantito la gestione economica e sociale scoperchiando falle e dimostrandoci vulnerabili ad attacchi hacker. Su tutti livelli, dai cittadini alle aziende che in qualche maniera “maneggiano” dati personali più o meno sensibili. La domanda da porsi, però, non è cosa succederebbe ai nostri dati dopo un attacco informatico, ma “e se fosse già successo e noi non ne siamo a conoscenza?” «Esistono due tipi di aziende: quelle che hanno subito attacchi e quelle che non lo sanno – spiega Mauro Conti, professore ordinario di cybersecurity e presidente del corso di laurea magistrale in cybersecurity dell’Università di Padova – Il dato e l’informazione esistono ancor prima dell’informatica, quest’ultima ha digitalizzato e automatizzato la fruizione. In crittografia è ancora studiato “il cifrario di Cesare”, uno dei più antichi algoritmi crittografici perché da sempre si è avvertita la necessità di proteggere segreti o tenere in via confidenziale alcune cose. Oggi ci ritroviamo con banche dati enormi e in maniera più o meno cosciente dei rischi, diamo permesso all’utilizzo dei dati personali, eppure la maggior parte degli utenti non è consapevole a cosa sta acconsentendo. Pretendiamo che app e strumenti siano quotidianamente a disposizione nostra, ma sottostimiamo i rischi». Così non ci accorgiamo che per rendere “smart” la nostra casa, finiamo con l’essere costantemente tracciati. Soprattutto dalle tv, come dimostrato dalla Northeastern University di Boston: tra gli “elettrodomestici intelligenti”, i televisori smart sono quelli che più di tutti contattano servizi di profilazione, pubblicità, tracking e destinazioni non richieste. Eccolo il nuovo petrolio. E se magari è legato alle nostre cartelle cliniche, il dato è ancora più appetibile e prezioso. La guerra non si combatte via acqua, cielo o, come durante gli anni della cortina di ferro, nello spazio, la cyberwar con il collettivo di Anonymous è parte attiva del conflitto in Ucraina. «Gli strumenti diventano sempre più alla portata di chi vuole fare attacchi pur non avendo conoscenze – è il monito di Mauro Conti – Prendiamo i ransomware, i virus dietro ai quali si celano ricatti economici: esistono piattaforme che forniscono “servizi”, tipo Amazon, con password e codici recuperati nel dark web e messi a disposizione di criminali e malintenzionati». Dallo scorso settembre in Italia è attiva l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale e per essere più sereni (si scherza) sappiate che la Nazionale italiana di hacker etici ha conquistato il terzo posto ai Campionati europei di cybersicurezza.

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