Chiesa | Diocesi
Dal magistero di Francesco. Alcuni “sentieri” per essere pienamente Chiesa missionaria
Processo, santità, fraternità, missione, speranza, giovani: parole per ciascuno di noi e per la Chiesa di Padova
Chiesa | DiocesiProcesso, santità, fraternità, missione, speranza, giovani: parole per ciascuno di noi e per la Chiesa di Padova
Ora che papa Francesco riposa tra le braccia del Padre si apre un tempo di preghiera e di attesa che può essere anche occupato non certo da una valutazione del pontificato – compito della storia e degli storici – ma dal tentativo di guardare al cammino percorso, soprattutto dai laici, nella Chiesa e per il mondo. Il nostro recente passato, il presente e il futuro prossimo possono essere osservati attraverso alcune parole ricorrenti nel magistero di Francesco. La prima parola è processo: il papa invitava a iniziare processi più che possedere spazi tanto per l’evangelizzazione, quanto per generare nuovi dinamismi nella società. Agire da cristiani all’interno di un processo e per mezzo di esso è forse il modo più efficace per affrontare la complessità del mondo contemporaneo, in cui tutto è interconnesso, messo in discussione, e il progresso, soprattutto quando vissuto come un bene assoluto, mostra i suoi limiti. Oggi per la Chiesa, e in particolare per la nostra Diocesi, il processo, cioè l’andare avanti e a favore di una meta buona, ha come orizzonte immediato il mettere in atto le proposte del Sinodo diocesano. Per noi laici si tratta di acquisire piena consapevolezza di ciò che possiamo e dobbiamo fare in virtù del battesimo e della confermazione, non come mero esercizio di supplenza, ma attenti a non confondere servizio e responsabilità con il possesso di potere. Essere attori in un processo ci inquieta perché ci spinge a uscire da schemi e abitudini, ci chiama alla santità e contemporaneamente ci ricorda la nostra fragilità come uomini e come credenti. Siamo tutti chiamati a lasciare che la grazia del battesimo fruttifichi in un cammino di santità e la chiamata alla santità si attua, secondo papa Francesco, in un orizzonte quotidiano, feriale. È una santità apparentemente semplice, ma in realtà molto impegnativa: ci chiede di vivere e mostrare la fede vivendo e mostrando la gioia delle beatitudini. Vivere le beatitudini è arduo perché oggi, forse più di ieri, significa andare controcorrente; ad esempio significa «accettare ogni giorno la via del Vangelo nonostante ci procuri problemi»; significa «mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore». Ma qual è la via del Vangelo; cosa sporca il cuore? Lo sforzo di discernere ci mette di fronte alle nostre fragilità umane, intellettuali, spirituali che sono difficili da accettare, ma esse ci ricordano il nostro essere creature e che la santità è, prima di tutto, dono e Grazia. Lo sforzo del discernimento è personale, ma va fatto anche all’interno delle nostre comunità e per le nostre comunità: papa Francesco ha ricordato che «la santificazione è un cammino comunitario». Nella nostra Diocesi le comunità sono ancora numerose, ma tutte segnate dal contesto in cui viviamo fatto da invecchiamento della popolazione; per alcune zone da spopolamento progressivo; in tutte è viva la percezione che quello che è stato definito come il “tramonto della cristianità” e l’essere divenuti una minoranza rendono urgente il diventare Chiesa in uscita, capace di evangelizzare. Siamo certamente ancora capaci di condividere la Parola e celebrare insieme l’eucaristia che ci rende più fratelli e ci trasforma via via in comunità santa, ma facciamo fatica a diventare anche comunità missionaria.
Talvolta siamo preda della “tentazione di abbandonarci al senso della sconfitta” come se due millenni di cristianesimo avessero consunto il messaggio cristiano, equiparando carità e misericordia a pratiche sociali. Eppure le semplici testimonianze della gente comune, anche di non credenti, raccolte in questi giorni di lutto evidenziano come la grande capacità di relazione mostrata da papa Francesco sia stata un potente strumento di annuncio. È una relazione che nasce dalla scelta preferenziale per i poveri. È una relazione sincera e spontanea, cordiale, cioè che nasce da cuore: «Se il cuore è svalutato – dice Francesco nell’ultima enciclica – si svaluta anche ciò che significa parlare dal cuore… Quando non viene apprezzato lo specifico del cuore… perdiamo l’incontro con gli altri». Siamo in difficoltà anche a dire la fede, ad annunciare, come se la Parola e le parole fossero confuse sullo stesso piano. Da sempre la verità delle parole emerge ed evangelizza quando attinge alla Parola, ma oggi abbiamo bisogno di modi nuovi di dire la nostra fede, modi che siano sempre sinceri e coerenti con la vita. Dobbiamo essere capaci di narrare la fragilità, di non imporre le certezze, di accettare il rifiuto e anche il conflitto cercando di dare al “con” il significato originario di “insieme”. Un altro sentiero, e non certo l’ultimo, dei molti da intraprendere nel nostro essere evangelizzatori è il rapporto con i giovani. Pochi mesi fa papa Francesco ha ricordato ai giovani chiamati a tante sfide – lavoro, famiglia, istruzione, impegno civico, cura del creato, nuove tecnologie – che la speranza non delude. Come il papa siamo anche noi consapevoli di vivere in un cambiamento d’epoca, segnato da una “terza guerra mondiale a pezzetti”, e che sembra quasi incamminarsi verso la negazione di verità e giustizia, libertà e democrazia; siamo consapevoli delle fragilità dei nostri figli e nipoti. Eppure: come i giovani hanno il diritto alla libertà di sperimentare e tentare strade nuove, hanno anche il diritto a essere sostenuti nel cammino e soccorsi negli smarrimenti. Così gli adulti hanno il dovere di mostrare con forza la certezza della speranza; hanno il dovere della saggezza, di un saper essere chi vive con fiducia i processi che il Signore ci dà la grazia di abitare.