Chiesa | DiocesiVilla Obizzi di Albignasego Giovedì 22 alle 21 la biblista Silvia Zanconato affronta il tema della tensione tra opposti che attraversa i salmi e ne fa specchio della vita
“In cerca di pace dentro la guerra. Salmi tra parole di conflitto e visioni di speranza” è il titolo dell’incontro che la biblista Silvia Zanconato terrà giovedì 22 maggio alle ore 21 a Villa Obizzi di Albignasego, nell’ambito del Festival biblico. Un titolo che introduce il tema di fondo: la tensione tra opposti che attraversa i salmi e ne fa specchio della complessità dell’esperienza umana, tanto più riconoscibile oggi, in un tempo attraversato da guerre e profondamente segnato da un bisogno urgente di riconciliazione. Se, infatti, da un lato i salmi custodiscono la faticosa invocazione di un mondo pacificato, dall’altro non tacciono le ombre: danno voce al turbamento, alla collera, al desiderio di vendetta. In particolare, i cosiddetti “salmi imprecatori” – quelli che usano un linguaggio duro, talvolta violento – restituiscono con lucidità i conflitti interiori più profondi, senza censurarne le ambivalenze. È da questo intreccio che nascono parole capaci di attraversare i secoli, perché profondamente aderenti all’esperienza umana. Le parole dei salmi – intrise di lacrime e sorrisi, sofferenza e speranza, supplica e ringraziamento – resistono a ogni semplificazione. Al cuore di questa tradizione poetica e orante c’è il tema dello shalôm, il denso termine ebraico che designa la “pace” non soltanto come assenza di guerra, ma come una condizione di benessere integrale, di equilibrio e pienezza a cui si aspira e che si riceve come dono, nella misura in cui l’esistenza si apre all’armonia con Dio, con gli altri e con il mondo. Ma proprio perché shalôm è aspirazione più che conquista, nei salmi l’anelito alla pace convive con sentimenti offuscati dalla rabbia e con invocazioni che chiedono a Dio la cancellazione totale del nemico. Questa compresenza interpella profondamente la nostra sensibilità etica. Ci costringe a riflettere su come nominare la violenza senza legittimarla, su come riconoscerla anche quando si nasconde nel linguaggio religioso, su quali parole usare per esprimere la sofferenza e la speranza senza che si trasformino in volontà di dominio. Non è risolutivo, avverte Silvia Zanconato, tentare di appianare i contrasti in nome di un ideale rassicurante perché la violenza attraversa in modo strutturale anche alcune tradizioni bibliche: è parte del patrimonio testuale, e come tale va accolta, letta, interpretata. Affrontare i salmi “imprecatori” significa allora esporsi a un esercizio esigente. Significa accettare di dare voce alle pulsioni più forti come occasione di catarsi e verità: «Ci permettono di dire tutto – afferma la biblista – di non nascondere le zone d’ombra dell’umano». Ma questo non basta, continua Zanconato: «Serve consapevolezza: le parole, infatti, hanno un peso reale, preparano i gesti. E quelle sacre, più delle altre, possono farsi azione se non vengono ascoltate con attenzione, interrogate nel loro significato. Nominarle attraverso i salmi può allora diventare un gesto di vigilanza etica, un esercizio critico che ci aiuta a riconoscere la nostra stessa violenza, a distinguere ciò che è legittima rabbia da ciò che rischia di diventare distruttivo». È così che i salmi ci educano a un linguaggio capace di costruire, di curare, di custodire la pace: non ci offrono regole da seguire, ma uno specchio che riflette senza sconti la complessità del nostro rapporto con Dio – anche quando l’immagine del divino che vi si delinea restituisce proiezioni di dominio e cancellazione del nemico. Anche la preghiera, osserva Zanconato, può essere attraversata da desideri ambigui e la legittima ricerca di giustizia può confondersi con la vendetta o con istanze di esclusione o rivalsa. I salmi, in questo senso, non propongono modelli ideali, ma ci espongono al confronto con il volto più difficile della fede: quello in cui Dio stesso viene invocato come garante di una logica identitaria, come figura che legittima il conflitto, che difende il “noi” contro il “loro”. Eppure, proprio per questo, ci aiutano a riconoscere le derive di un certo desiderio religioso e a interrogarci sul modo in cui costruiamo le nostre immagini del sacro. «Oggi – conclude la biblista – questo confronto è più urgente che mai. In un tempo segnato dalla disgregazione e da un’incertezza radicale, in cui il futuro appare molto più fragile di quanto avremmo immaginato solo pochi anni fa, assistiamo a un ritorno del sacro utilizzato per delimitare confini, per consolidare appartenenze. Ritrovarsi uniti attorno ai valori religiosi può essere un bisogno profondo, un meccanismo efficace per ridare sicurezza. Ma se la religione viene impiegata come strumento identitario rischia di generare dinamiche escludenti, che respingono l’altro. Di questo dobbiamo diventare consapevoli, per lasciare spazio a visioni autentiche di speranza».
