Chiesa | DiocesiUn geografo, Mauro Varotto (docente e responsabile del Museo di geografia dell’Università di Padova), e uno scrittore Daniele Zovi (divulgatore scientifico), dialogheranno assieme su ambiente e natura in occasione del Festival biblico.
L’incontro – dal titolo “Il nuovo mattino. Svegliatevi, arpa e cetra, voglio svegliare l’aurora (Sal 107)” è previsto sabato 24 maggio alle 18 al Centro universitario di via Zabarella 82. Al prof. Mauro Varotto, autore de Il primo libro di geografia (Einaudi), chiediamo: ma è possibile un approccio diverso con il pianeta Terra, visto dall’uomo contemporaneo sempre più come un ricettacolo di risorse da sfruttare? «Deve esserlo, se vogliamo mantenere fede al nome che la nostra specie si è data (Homo Sapiens). Come geografo sottolineo sempre che Terra e Mondo sono due termini non sovrapponibili: il mondo è la parte del nostro pianeta che noi abbiamo sottomesso al nostro controllo (dal latino mundus, pulito, ordinato), la Terra è qualcosa che rimane sempre eccedente, è un termine che richiama la necessità di lasciare spazio anche a qualcosa d’altro da noi, per la nostra salvezza. Un approccio diverso deve partire da questa consapevolezza».
Quale atteggiamento dovrebbe avere l’uomo verso l’ambiente? «Un rapporto di continua attenzione, che significa prima di tutto osservazione e conoscenza, e di conseguenza cura e gestione equilibrata delle relazioni».
A suo avviso perché verso la Terra prevale un atteggiamento predatorio? «La modernità ha accentuato e portato all’estremo un pensiero dicotomico in cui uomo e natura sono rigorosamente separate. Quando diciamo che dobbiamo proteggere la natura significa che dobbiamo proteggere l’uomo, e viceversa. Non riconoscere la connessione tra noi e ciò che ci circonda è all’origine di un atteggiamento di sfruttamento inconsapevole delle ricadute che prima o poi arrivano su noi stessi».
Come può essere “svegliato” l’uomo in funzione di un equilibrio più rispettoso fra gli esseri viventi e le risorse della Terra? «Il risveglio è legato prima di tutto alla volontà e alla speranza di poter cambiare le cose: l’indifferenza e il disfattismo apocalittico sono nemici pericolosissimi della consapevolezza della necessità di cambiare le cose e dobbiamo farlo, per noi e per chi vive attorno a noi. Se non ci riusciremo, vorrà dire che la specie umana non è stata all’altezza delle sfide: in fondo, è una bella lezione di umiltà».
Il creato come elemento da custodire e tramandare. Quali sarebbero le azioni più necessarie da intraprendere? «Direi fondamentalmente tre: abbandonare i combustibili fossili e quindi intraprendere al più presto una transizione energetica verso energie rinnovabili; trovare il modo di ridurre la nostra impronta carbonica e modificare i nostri stili di vita oggi troppo dissipativi; individuare strumenti di governo efficaci a scala globale, perché i problemi sono a scala planetaria e non si possono risolvere a scale più ridotte o senza un impegno comune».
Quale speranza è possibile, alla luce di accordi stralciati dagli Stati e impegni disattesi dai Paesi che li avevano sottoscritti? «Credo che la sfida principale alla base della nostra speranza è connessa alla capacità di analizzare con equilibrio la situazione e di adottare in maniera condivisa le soluzioni più efficaci. Combattere il relativismo, l’individualismo egoistico, le notizie false legate a questo o quell’interesse particolare è il vero obiettivo. Il motto del nuovo papa Leone XIV, In illo uno unum, anche al di là del riferimento cristologico, è un bel segnale di speranza: siamo tutti sulla stessa barca, dobbiamo remare insieme».
È possibile una alleanza tra natura e LUDWIG MONTI Biblista, dottore di ricerca in ebraistica cultura che sappia tenere in armonia le varie dimensioni della vita: spirituale, sociale, ecologica? «Partiamo dalla constatazione che la cultura è espressione della natura, non un corpo separato e contrapposto a essa, è una sua espressione. Il vero peccato originale è la scissione, la separazione tra natura e cultura, la specializzazione dei saperi che ci impedisce di vedere le connessioni che ci legano intimamente al cosmo. Se esiste un Dio, credo sia nascosto proprio in questa unità del tutto».
Quali stili di vita dovrebbero cambiare verso una maggiore cittadinanza ecologica? «L’impronta carbonica di un italiano medio (7 tonnellate di Co2 l’anno) è insostenibile se tutti vivessero come noi. Le piante ci possono aiutare, ma non basteranno. Iniziamo da noi. Bisogna allineare e rendere coerenti i costi dei prodotti che acquistiamo ai costi ambientali e carbonici per produrli in modo da poter fare scelte più consapevoli».
