Idee | Pensiero LiberoSono ancora vive nei nostri occhi le toccanti immagini dei funerali di papa Francesco. Ma l’inizio di questa settimana che, dalle esequie di sabato 26 aprile, ci conduce all’apertura del Conclave del 7 maggio ha il sapore di un brusco risveglio.
Il Sipri, l’istituto internazionale di ricerche sulla pace con sede a Stoccolma, ha diffuso lunedì 28 aprile il suo rapporto annuale il quale certifica la spesa di 2.718 miliardi di dollari in armamento nel solo 2024, con un aumento record del 9,4 per cento sul 2023. Dati che non si erano mai visti dalla fine della Guerra Fredda. E che ci fanno capire quanto lungo sia il cammino verso la fine della «terza guerra mondiale a pezzi» per riprendere una delle espressioni più caratterizzanti il pontificato di Francesco. Se l’incremento delle spese militari è una costante nell’ultimo decennio, l’anno passato rappresenta tuttavia una vera e propria impennata nella cifre. Oggi infatti, il capitolo di bilancio dei vari Stati finisce per rappresentare il 2,5 per cento del Pil mondiale, superando di gran lunga la percentuale a cui Trump nel primo mandato come presidente Usa richiamava le nazioni europee all’interno della Nato. L’Europa spicca come il continente più segnato dalla crescita delle spese militari. Nel nostro continente, includendo nel calcolo anche la Russia, in un anno le spese militari sono salite del 17 per cento. Preoccupa – e molto – l’analisi di Lorenzo Scarazzato, ricercatore del Sipri: «Per la prima volta dalla riunificazione, la Germania è diventato il Paese dell’Europa occidentale che effettua più spese militari». Una tendenza destinata ad aumentare, considerando la recente decisione del Bundestag di Berlino che ha avvallato le modifiche costituzionali volte a derogare il “tetto” al debito per le spese militari. «Le ultime politiche adottate in Germania e in molti altri Paesi europei suggeriscono che l’Europa è entrata in un periodo di aumento delle spese militari che è probabile che continuerà in un futuro imprevedibile». Per tornare alla Nato, con 1.550 miliardi di dollari spesi in armi, i 32 Paesi dell’Alleanza coprono oltre la metà della spesa globale per armamenti. Secondo Francesco Vignarca, portavoce della Rete Pace e disarmo, il riarmo oggi si esplicita in una «competizione» tra sistemi che intendono prevaricarsi a vicenda in una pericolosa corsa alle armi che, tra l’altro, rischia di aprire anche le porte a una bolla finanziaria. Anche l’Italia ha visto nel 2024 crescere la propria quota dell’1,4 per cento (totale complessivo di 38 miliardi di dollari) dando così l proprio contributo allo storico aumento della spesa militare. Per quanto riguarda l’Unione europea sono ben 370 i miliardi di dollari spesi in armi da parte dei Paesi membri, la cifra più alta, seconda solo agli Stati Uniti, nella quale spicca il più 28 per cento della Germania. Sembra che, nei giorni in cui celebriamo gli 80 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale che ha messo a ferro e fuoco il continente, l’Unione abbia smarrito la motivazione principale della sua fondazione: evitare altre carneficine tra europei. E infatti con gli 800 miliardi di euro di nuovo debito “concessi” dalla Commissione attraverso “ReArm Europe” la situazione non potrà certo migliorare. Torna così alla mente uno dei molti fermo-immagine da piazza San Pietro: quello scambio della pace tra Macron e Trump che le telecamere vaticane hanno catturato nel settore delle autorità presenti al funerale del papa. Quale concretezza cela quel gesto liturgico? È vera pace o solamente una stretta di mano imposta dal rito? In quella stessa piazza, nell’ultimo giorno della sia vita, dalla loggia delle benedizioni, nel messaggio per la benedizione pasquale urbi et orbi, papa Francesco diceva: «Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo. L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo». Continuiamo a meditare sulla sua eredità.
