IdeeLa celebrazione come intenzione di futuro Le mosse scomposte “alla Trump” dimostrano per differenza la forza di un modello che va protetto con orgoglio. Schuman 75 anni dopo Il 9 maggio 1950 la dichiarazione dell’allora ministro degli esteri francese tracciava un orizzonte di unione. Ma l’Europa cerca ancora la sua strada, tra identità da difendere e progetto da rilanciare
«Il progetto di Schumann e degli altri leader europei del dopoguerra era sintesi di una visione alta – porre le condizioni per neutralizzare un possibile scontro in particolare tra Francia e Germania – e passi concreti – costituire l’unione degli interessi per carbone e acciaio. Oggi le prospettive dei singoli Stati sono così distanti tra loro che si va avanti per piccoli passi, si procede ad “amministrare” e a “reagire” come si è fatto bene per esempio con Covid, ma non a indicare possibili scenari». Parte da questa considerazione la valutazione di padre Giuseppe Riggio, direttore del mensile dei gesuiti Aggiornamenti sociali, a 75 anni dalla Dichiarazione Schuman, proposta il 9 maggio 1950 dall’allora ministro degli esteri francese e primo passo per la cooperazione europea. Quella data, scelta per la Giornata dell’Europa e per celebrare la pace e l’unità del continente dopo due guerre mondiali, trova oggi un’Europa segnata da un conflitto e politicamente in difficoltà. Padre Riggio, un anno fa a Padova, in vista delle elezioni europee aveva parlato delle “sfide future” per il nuovo Parlamento, oggi quali prospettive abbiamo? «In un anno è cambiato tutto con la politica di Trump che vede l’Europa come competitore. La stessa politica europea è rimessa in discussione. Se le sfide sono le stesse, il contesto interno e quello internazionale sono del tutto cambiati». Di fase complicata, cruciale parla anche Luigi Gui, direttore della Fisp, la Formazione all’impegno sociale e politico della Diocesi di Padova: «Siamo a un crocevia tra una strada e un’altra, opposta alla prima. Da una parte sembra prevalere l’idea difensiva, richiudersi per trattenere posizione di vantaggio per sé, ma ogni idea così, respingente e di chiusura, porta ad atrofia. È la strada che alletta certa politica e parte dell’opinione pubblica. L’altra via, opposta, è quella che di fronte alla crisi ci si unisce per estendere le conquiste di cui si gode, si “allarga il noi”. I confini si fanno occasione per uno scatto di identità verso un contenitore più ampio. Si tratta però di chiedersi quale sia l’abito istituzionale entro cui collocarsi». Secondo Gui infatti «l’assetto istituzionale europeo mostra molta fragilità. Pensiamo al peso dell’unanimità richiesta per certe scelte, alla politica estera non condivisa, ai sistemi di welfare e fiscali diversi, a sistemi elettorali non coincidenti per forme e tempi nei quali si svolgono le elezioni». Per capire quale sarà il futuro dell’Europa politica costituita a pochi anni dalla fine del secondo conflitto oggi ci vorrebbe la sfera magica, dice padre Riggio, che sottolinea però come ci siano anche opportunità per una scossa positiva che superi le diverse posizioni attuali. «Il fattore esterno Trump potrà confermarsi sulla linea di questi primi mesi di presidenza e quindi portare a un confronto duro con ricadute economiche significative oppure avviare una modalità più collaborativa. Per l’Europa potrebbe essere l’occasione di maturare una prospettiva politica, di passi avanti da parte di alcuni Stati in collaborazione più stretta rispetto al quadro giuridico attuale, come è stato già fatto con l’istituzione dell’area Schengen o con l’Euro. Alcuni Paesi possono iniziare un cammino, lasciando la porta aperta a successive entrate. La complessiva Riforma dei trattati oggi sembra una via non praticabile per l’eccessiva distanza tra le posizioni». In questa prospettiva di rilancio, secondo il direttore di Aggiornamenti sociali, l’Italia può avere un ruolo interessante: «Mi pare che la presidente Meloni stia portando avanti una propria visione molto collaborativa nel dialogo continuo con la presidente della Commissione europea Von der Leyen. Una strategia che potrebbe ritrovarsi a sostenere un progetto unitario che nasca all’interno dell’Unione piuttosto che iniziative esterne come quella dei “volenterosi”». Allora, il 9 maggio, c’è ancora un’Europa da festeggiare? «Festeggiare è fare memoria, celebrare insieme, scoprire il gusto di una ricorrenza che diventa impegno rigoroso. I riti cementano le comunità – spiega Gui – e allora la celebrazione diventa un’intenzione di futuro. Perché se è vero che eravamo rassicurati per una sicurezza che adesso le mosse scomposte “alla Trump” rimettono in discussione, è vero anche che queste dimostrano per differenza la forza del nostro modello, un modello che la “vecchia Europa” ha la responsabilità mondiale di difendere. Nel lungo periodo sono ottimista. La mobilità facile delle persone oltre che delle merci ha fatto maturare molte generazioni dal respiro ampio. Ci sono numerose generazioni che hanno apprezzato questo “gusto” e c’è da pensare che questo valore verrà preservato. Inoltre, vedendo come vanno le cose in altri contesti e in altri luoghi, per differenza possiamo apprezzare di più quello che abbiamo nella nostra realtà europea. Il desiderio dei paesi dell’Est Europa di entrare nell’Unione non è solo volto al miraggio di un miglioramento economico, ma anche per la qualità della vita e di modelli di convivenza. Non so con quali traumi e con quali tempi, ma credo che questo modello si affermerà».
«La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano». È l’incipit della Dichiarazione Schuman, pronunciata il 9 maggio 1950 a Parigi, e che segnò l’inizio dell’integrazione europea. Robert Schuman, ministro francese, propose di superare le rivalità storiche, specialmente tra Francia e Germania, creando un’Alta Autorità per gestire congiuntamente carbone e acciaio, materie prime strategiche. Questa proposta portò alla nascita della Ceca, alla quale aderirono sei Paesi, all’interno di un contesto storico segnato dal sostegno Usa alla ripresa tedesca per arginare il comunismo, mentre la Francia cercava di rafforzare la sua influenza. Ispirato dalle idee di Jean Monnet, Schuman pose le basi per una futura unione federale europea. Il Consiglio europeo, riunito a Milano nel 1985, istituì la Giornata dell’Europa.
Il tema della “difesa” è uno dei più spinosi per chi crede che l’Europa attuale sia il continente della pace. Padre Giuseppe Riggio: «Dagli anni Cinquanta si parla di difesa europea e non abbiamo fatto passi avanti perché c’era l’ombrello della Nato e degli Usa. Diventa urgente affrontarlo ma il Piano di riarmo, con i singoli Paesi che acquistano armi secondo scelte interne, manda il messaggio che ci si muove senza alcuna prospettiva, ancora una risposta senza proposta unitaria».
Sul piatto non c’è solo l’accesso al nuovo fondo europeo per il riarmo, ma anche il tema della mobilità giovanile. Viaggiare e lavorare tra Regno Unito e Unione europea potrebbe diventare più semplice per i giovani tra 18 e 30 anni. Secondo il Guardian, Bruxelles sarebbe pronta a concessioni nei negoziati con Londra, auspicati dal governo laburista di Keir Starmer per un “reset” post-Brexit. In discussione c’è un programma di mobilità giovanile che prevede visti di massimo dodici mesi, con limiti su numero e settori lavorativi. Oltre 60 deputati laburisti hanno firmato una lettera aperta chiedendo «un nuovo sistema di visti per i giovani sotto i trent’anni». L’iniziativa eviterebbe di riaprire flussi migratori strutturati e la proposta potrebbe essere approvata al vertice Uk-Ue del prossimo 19 maggio a Londra, nell’ambito di un’intesa più ampia basata su sette pilastri.
«Ci attendono sfide globali, l’Europa è l’unica via che permette di affrontarle dando un contributo attivo alla transizione tecnologica, alle politiche demografiche, alla transizione ambientale. L’Unione Europea è ancora in costruzione, sta a noi scegliere di farne parte e partecipare». Sono queste le convinzioni di Valentina Falcioni del movimento “Insieme per l’Europa”, e non potrebbe essere diversamente dato il profilo accademico e lavorativo della giovane dottoressa forestale: 37 anni, originaria di Ascoli Piceno, esercita la professione sul territorio nazionale ma è legata a Padova per alcuni progetti di ricerca. In particolare si occupa di agricoltura di precisione, un settore, spiega, che vive proprio grazie all’Europa. «L’Unione è casa, è il riferimento continuo per i progetti nei quali lavoro, anche grazie ai finanziamenti del Programma agricolo comunitario. Tra i temi che più mi stanno a cuore c’è l’ambiente e proprio per questo da dieci anni faccio parte dell’iniziativa EcoOne, un progetto internazionale promosso da una rete di docenti, ricercatori e professionisti che operano nelle scienze ambientali. Appartengo inoltre al Movimento dei Focolari, siamo moto sensibili alla questione ambientale perché dobbiamo proteggere il Creato». Secondo la ricercatrice, inoltre, «è finito il tempo del mondo bipolare, oggi viviamo in uno scacchiere internazionale dove molti Stati vogliono partecipare. Ma i singoli Paesi non avrebbero rilevanza, dobbiamo stare assieme seguendo la strada indicata dai padri fondatori». Tra le voci pro Europa si annovera anche il Movimento Federalista Europeo. Il rappresentante della sezione padovana, Lorenzo Onisto, spiega i principi che li guidano: «Il nostro è un movimento apartitico, ma ci interfacciamo con gli eurodeputati della nostra zona per portare avanti le nostre battaglie. A guidarci sono le idee dei nostri padri fondatori, tra cui gli autori del Manifesto di Ventotene. Ci battiamo per una maggiore integrazione europea, per esempio per abolire il diritto di veto degli Stati membri nel Consiglio europeo che in passato hanno bloccato decisioni importanti, come il Recovery Plan o per gli aiuti all’Ucraina. Siamo favorevoli all’ingresso di nuovi Stati, soprattutto nell’Est Europa, anche se il processo è rallentato dai vincoli da rispettare». Dunque perché essere europeisti oggi? «C’è la questione dell’Intelligenza artificiale, la transizione digitale, il mercato dell’auto elettrica, tutti temi che solo un’Europa unita può affrontare». Ma le idee, si sa, camminano con le gambe delle persone. Per questo il Movimento ha deciso di realizzare un simbolo concreto del proprio sostegno all’integrazione europea, inaugurando proprio il 9 maggio – Giornata dell’Europa – una panchina presso i giardini dell’Arena, a Padova.
I giovani non sembrano cogliere il valore della “casa comune europea”. «Bisogna distinguere – puntualizza Luigi Gui – La Brexit ha dimostrato che i giovani inglesi delle città e quelli più istruiti erano contrari all’uscita dall’Unione. Decisivo è l’investimento nell’istruzione. In questo senso preoccupano i disinvestimenti americani in ambito di istruzione e cultura. E poi un certo agio economico, non il lusso, è preferibile per tutti. La povertà e la miseria generano paure. Non è un problema generazionale ma di direzione. Se garantiamo più equità, più formazione e cultura, si prospetta una generazione aperta. Se i giovani sono deprivati di capacità critica e preoccupati dal punto di vista economico si tende alla chiusura. E qui si rimanda alle politiche dell’Unione e dei singoli Stati». (F. M.)
