IdeeCrisi climatica, come uscirne? Imprese innovative, Stati sensibili ai problemi ambientali e opinione pubblica ben informata, anche grazie all’università. Solo così si può superare il blocco di chi spinge ancora sulle fonti fossili
Sul tema della crisi climatica stiamo tornando indietro di 30 anni. La denuncia non viene dal mondo ambientalista ma da quello delle imprese e dall’università mentre la politica annaspa cercando il consenso immediato. Il clima ha tempi lunghi e i cambiamenti vanno governati, invece il neo-negazionismo imperante non consente approcci efficaci. Se ne è discusso al Bo, lunedì 12 maggio, durante la presentazione del libro Le grandi ipocrisie sul clima-Contro i burocrati della sostenibilità e i nuovi negazionisti del clima (Solferino, 2024) dove gli autori, Roger Abravanel e Luca D’Agnese, hanno dialogato con Paola Carron, presidente di Confindustria Veneto Est, Francesca da Porto, prorettrice all’Università di Padova con delega alla sostenibilità, e Carlo Carraro, già rettore e docente di Economia ambientale alla Ca’ Foscari di Venezia. L’incontro, moderato da Arturo Lorenzoni, docente e consigliere regionale, rientra nel Festival dello sviluppo sostenibile in corso a Padova fino al 23 maggio. «Le tecnologie per superare il fossile ci sono ma esiste una forte opposizione da parte dell’opinione pubblica – hanno sottolineato gli autori – L’opposizione alle rinnovabili in Italia c’è sempre stata perché i tempi delle autorizzazioni sono lunghi e la gente non ne vede i benefici. I prezzi dell’energia sono determinati da quella fossile e la crisi li ha fatti schizzare. Avremmo potuto sfruttare la crisi per fare degli investimenti sulle rinnovabili ma questo non è stato e così si alimenta un circolo vizioso che rallenta il cambiamento e crea sfiducia». Che fare? Serve una spinta da parte della politica per accelerare gli investimenti, un passo essenziale per far superare il blocco all’opinione pubblica «che non vede alcun vantaggio, ma solo gli impianti davanti a casa propria e quindi afferma che le rinnovabili sono diventate semplicemente un business». È un mondo che cambia e dobbiamo far fronte a questo cambiamento e un indicatore lo troviamo nelle compagnie assicurative che stanno mettendo a punto nuove strategie perché ormai i danni causati dalle “bombe d’acqua”, le trombe d’aria, la grandine grossa come arance, sono spesso incalcolabili. Ma anche il mondo dell’impresa deve cambiare: «L’industria automobilistica in Italia è scomparsa ma la componentistica resta e va riconvertita per la produzione di auto elettriche – chiosa Roger Abravanel – Le autofficine spariranno e allora occorre che la ricerca trovi nuove opportunità di lavoro». Certo è necessario «assestarsi su quello che chiede il mondo esterno, ma occorre dare il tempo alle imprese di adattarsi a questi cambiamenti – ha spiegato Paola Carron – Non vogliono i tempi stretti imposti dall’alto: non si può chiedere alle imprese di innovare per decreto. Innovare per l’impresa è un must, ma devono esserci le infrastrutture per farlo e non possiamo aspettare 400 giorni lavorativi per collegare un impianto fotovoltaico». La politica sembra essere la grande assente e molti degli sforzi si perdono nei passaggi burocratici. Per Abravanel e D’Agnese bisogna mettere in campo il triangolo della sostenibilità dato dalle imprese innovative, dagli Stati sensibili ai problemi ambientali e dall’opinione pubblica ben informata. Importante il ruolo dell’università che anche di fronte al prevalere del negazionismo più becero continua a lavorare per il cambiamento necessario: «Oggi nella ricerca non c’è perdita di rilevanza dell’argomento e su tecnologie e ricerca siamo a un ottimo livello. Il nostro lavoro va dalla salvaguardia del sistema costiero alla protezione delle barene, la ricarica delle falde acquifere, l’impermeabilizzazione del suolo, la gestione della risorsa idrica, l’idrocoltura, la lotta al cuneo salino – elenca Francesca da Porto – Sono tecnologie già disponibili che possono essere introdotte nel processo produttivo ma l’adattamento è meno interessante delle nuove scoperte mentre a livello territoriale è indispensabile». Un processo positivo su cui pesa la povertà della dimensione amministrativa e politica.
