MosaicoUn coro pop-up, senza iscrizioni, senza provini o selezioni. Non serve saper leggere la musica, né conoscere a memoria le parole
“When the sun shine, we shine together/ Told you I’ll be here forever/ Said I’ll always be your friend/ Took an oath, I’ma stick it out to the end/ Now that it’s raining more than ever/ Know that we’ll still have each other/ You can stand under my umbrella/ You can stand under my umbrella, -ella, -ella, eh, eh, eh”.
“Quando splende il sole, splendiamo insieme/ Te l’ho detto che sarò qui per sempre/ Ho detto che sarò sempre tuo amico/ Ho fatto un giuramento/ resisterò fino alla fine/ Ora che piove più che mai/ Sappi che ci avremo ancora l’uno per l’altro/ Puoi stare sotto il mio ombrello/ Puoi stare sotto il mio ombrello, -ello, -ello, eh, eh, eh”.
Erano in trecento, a fine marzo, al centro culturale Base di Milano, a cantare “Umbrella”, uno dei pezzi più famosi della cantante barbadiana Rihanna. E sono stati più di 10.100 quelli che in sole due settimane hanno visto il video di questa performance su YouTube e più di 40mila su TikTok.
Questi sono solo alcuni dei numeri di Hardcoro, il nuovo format che sta conquistando rapidamente Milano e che a breve potrebbe arrivare anche in altre città italiane.
Di cosa si tratta? Hardcoro è un coro pop-up, senza iscrizioni, senza provini o selezioni. Basta presentarsi una volta al mese all’appuntamento pubblicizzato sui social – il prossimo incontro è fissato per martedì 20 maggio – e si canta insieme un brano a sorpresa. Ogni volta una canzone diversa. Occorre essere dei cantanti provetti? No, basta amare cantare, anche se non si è proprio del tutto intonati. L’esperienza dura 2 o 3 ore. A dirigere l’incontro è il maestro di canto Michele Acocella. Niente pubblico che sta a guardare, niente ansia da prestazione. Sul palco c’è il maestro insieme a Guido Casali, che accompagna la performance alla chitarra. In platea ci sono i cantori. Persone che sono lì semplicemente per cantare. In polifonia. Le armonizzazioni sono semplici, si arriva ad un massimo di tre voci. Non serve saper leggere la musica, né conoscere a memoria le parole. Il testo del brano scelto viene proiettato su un maxischermo. Quando allo spartito, nessun pentagramma da decifrare, ma solo orecchio. In questo modo l’attenzione è tutta concentrata sulla musica.
Anche nel repertorio, Hardocoro rompe gli schemi tradizionali. Niente pezzi tratti dal repertorio di musica sacra o classica, ma pop a 360 gradi. Il brano viene svelato ai partecipanti solo la sera stessa. Si spazia da Lou Reed a David Bowie, da Britney Spears a Rihanna, dai Guns N’ Roses a Madonna, passando per i Radiohead. Non solo. Qualche giorno prima dell’appuntamento viene caricato sull’account Ig del coro un indizio sulla canzone scelta dagli organizzatori. Chi la indovina vince due ingressi per le serate successive. Due ore prima dell’appuntamento, sempre in una storia di Ig, viene rivelato il titolo del brano scelto e il vincitore del premio.
Ma è davvero possibile mettere in piedi un brano cantato da trecento sconosciuti in sole due ore? I video pubblicati sui social e il numero di visualizzazioni (“Creep” dei Radiohead pubblicato tre mesi fa su YouTube è stato visto da 40mila persone) ci dicono di sì: in un paio d’ore è possibile costruire un brano completo e di ottimo livello. E sono proprio i video, affidati al videomaker Alvise Tedesco, un altro pilastro di questo progetto. Essi sono, infatti, una parte fondamentale di questa esperienza: consentono di rivedersi e ascoltare il brano finito e armonizzato.
Hardcoro nasce un paio di anni fa a Milano. A iniziare questo progetto un po’ in sordina è un gruppo di tre amici con la passione del canto: Kim Mingo, Pietro Pierangeli e Giovanni Pesce. È proprio quest’ultimo che racconta come è nata l’idea. “Ci trovavamo per cantare dopo cena in modo informale. A volte andavamo al karaoke, ma ci sembrava un po’ sguaiato. Iscriversi ad un coro sarebbe stato troppo impegnativo”. Poi, gironzolando su YouTube si imbattono nel format dei pub choirs, diffusi soprattutto nei paesi anglosassoni e nel Nord Europa, e se ne appassionano.
Ai primi appuntamenti si presentano una ventina di persone, poi, grazie al passaparola, il numero di partecipanti va via via crescendo, fino ad arrivare agli attuali 300. Il pubblico di Hardcoro è intergenerazionale. In due anni saranno passate almeno duemila persone. Di mese in mese c’è un ricambio, ma ci sono anche gli affezionati che non si lasciano sfuggire un solo appuntamento. In occasione dell’ultimo incontro, che si è tenuto lo scorso 29 aprile, è stato introdotto per la prima volta un biglietto di ingresso di 7 euro, necessario per coprire le spese e utile per sapere quanta gente partecipa.
L’idea è quella di creare un’esperienza collettiva, non uno spettacolo. Non c’è nessuna distinzione tra chi canta e chi ascolta. Si è semplicemente immersi completamente nella musica.
A ideare il primo “Pub Choir” – nome registrato e protetto da un marchio specifico, è stata nel 2017 la giovane vocalist, direttrice d’orchestra e compositrice australiana – ma nata a Hamilton in Nuova Zelanda – Astrid Jorgensen. Il “pub Choir” muove i suoi primi passi a West End, suburbio di Brisbane. Per ogni incontro arrangia una canzone popolare, armonizzandola a tre voci, e la insegna ad un pubblico di non esperti. Ogni incontro è improvvisato e Jorgensen lo modula in tempo reale in base al pubblico che ha di fronte. Il tutto si conclude con una performance che viene filmata e condivisa sui social media. Il video di “Zombie” dei Cranberries, pubblicato su YouTube nel novembre 2017 è diventato virale con oltre 316mila visualizzazioni.
Nel marzo 2020, quando a causa della pandemia da Covid-19 gli eventi del Pub Choir erano stati cancellati, Jorgensen ha lanciato sui social media il “Couch Choir”, il “coro da divano”: ha arrangiato e caricato sui social tre armonie vocali della canzone “Close To You” dei Carpenters, invitando tutti a imparare una parte, a filmarsi mentre la canta e a inviarla per inserirla nel video finale. Il progetto ha raccolto oltre mille adesioni da 18 Paesi diversi. E il video finale è stato condiviso anche da Richard Carpenter. Il “Couch Choir” è proseguito per tutta la durata della pandemia, attirando decine di migliaia di partecipanti da oltre 50 Paesi.
Anche se a noi oggi sembra essere passata un’era geologica, appena 5 anni fa, chiusi nelle nostre case, socializzavamo con i nostri vicini di casa (che abbiamo spesso imparato a conoscere proprio in quell’occasione) cantando sui balconi. E con quanto gusto abbiamo dato fiato ai nostri polmoni per esorcizzare la paura di un virus che il fiato ai nostri polmoni lo stava togliendo. Lo abbiamo fatto senza il timore di stonare o senza lasciarci bloccare dalle spesso scarse conoscenze in campo musicale. Abbiamo semplicemente cantato. Ci siamo tuffati nella musica – come fa oggi il popolo di Hardcoro – in un mare di note, senza braccioli o salvagente, imparando a galleggiare grazie all’armonia, capace di tessere quelle reti tanto invisibili quanto solide che sono gli accordi.
La voce è la base per la comunicazione e la comprensione tra le persone di tutto il mondo: lo affermano i vertici del Dmr, il Deutscher Musikrat (consiglio musicale tedesco) che in Germania ha eletto la voce umana a strumento musicale del 2025.
La scelta della voce è rivoluzionaria, anche se probabilmente è la più antica di tutte le forme di espressione musicale. I ricercatori, infatti, ipotizzano che le persone cantassero già più di 150.000 anni fa. “Sappiamo dai reperti archeologici che flauti e tamburi esistevano già nell’età della pietra – sottolinea Christine Siegert, presidente del Consiglio musicale del Land della Renania Settentrionale-Vestfalia, ma l’utilizzo della voce come strumento è probabilmente precedente. Le madri hanno sempre canticchiato per i figli per farli addormentare, molto prima che capissero le prime parole”.
E poi cantare non è solo divertente. Ma fa bene anche alla salute fisica e mentale. E se lo si fa insieme, meglio ancora. La voce può generare fiducia, permette di scambiare idee e sentimenti e costruire rapporti con gli altri. Cosa quanto mai indispensabile in questo nostro tempo, tanto complicato e difficile.
