“Un’opportunità, un invito a recuperare una dimensione fraterna e di speranza che parte dalla certezza che se Cristo è risorto, come ha detto Papa Leone, le forze degli inferi non prevarranno”. Così Maria Maddalena Pievaioli, segretaria generale della Consulta nazionale delle Aggregazioni laicali, descrive l’Anno Santo. La intervistiamo in occasione del Giubileo dei movimenti, delle associazioni e delle nuove comunità che si celebra a Roma il 7 e l’8 giugno.
Come le Aggregazioni laicali italiane si sentono interpellate dall’Anno Santo della Speranza?
Il Giubileo, per ragioni organizzative, si sta svolgendo coinvolgendo volta per volta settori e tipologie dei membri della Chiesa. Ma, considerando l’impostazione generale della pastorale attuata da Papa Francesco – e mi sembra che Leone XIV sia sulla stessa linea – bisogna evitare il rischio di “spezzettare” la Chiesa e di non cercare la complementarietà che significa quella armonia delle diversità che è la Chiesa Popolo di Dio e la Chiesa sinodale.
Questo momento storico esige che si tengano in conto non i gruppi isolati né le categorie, ma questi inseriti nel popolo di Dio, in una Chiesa sinodale nella quale ogni realtà si fa collaboratrice e quasi debitrice al dono dell’altro. E così mette a disposizione il proprio dono.
Di fronte alla diffusa logica dell’autoreferenzialità, credo che abbiamo tutti bisogno di un cammino di conversione che ci faccia passare dall’io al noi; un cammino che dev’essere anche comunitario e non solo individuale: e coinvolge parrocchie, movimenti, associazioni…
Quali difficoltà vive la Chiesa su questo fronte?
Sono tante le realtà che si chiudono nel proprio piccolo, a difesa del proprio “orticello” e del proprio “angolo di potere”.
Ogni carisma, ogni peculiarità di una realtà o di una situazione è un dono per tutto il resto del Popolo di Dio. Ma è fondamentale che si viva e si metta a disposizione questo dono. Perché il problema sta nell’assolutizzarlo, nel farne la Chiesa.
Come Consulta, in questi anni insistiamo moltissimo sulla chiamata a costruire una Chiesa sinodale, dal nostro specifico di laici e di laici associati.
Quale contributo offrono le Aggregazioni laicali alla Chiesa in questo frangente storico?
Credo abbiano una responsabilità molto grande, perché
vivere una Chiesa missionaria e sinodale esige che ci siano persone competenti e preparate.
Nella Chiesa c’è posto per tutti, anche per la persona analfabeta; ma credo che quanta più formazione umana, cristiana, biblica, spirituale, ecclesiologica… c’è, tanto più possiamo essere strumenti utili nelle mani di Dio. In tanti movimenti e associazioni ci sono persone con uno specifico molto bello, molto denso. Cosa devono fare i laici associati? Quello che dice il Vangelo: essere sale, essere lievito in questa società.
Come laicato associato dovremmo essere un germe di speranza, di generatività nella Chiesa. Perché c’è bisogno di persone che ci credono davvero, ma che ci credono a partire da Gesù Cristo e dal Vangelo, non dal fondatore o dalla fondatrice di questa o quella realtà.
Le aggregazioni laicali in una Chiesa missionaria e sinodale sono una avanguardia che sta in prima linea, fuori dai recinti del sacro, “perché è proprio dello stato dei laici che essi vivano nel mondo e in mezzo agli affari profani, sono chiamati da Dio affinché ripieni di spirito cristiano, esercitino il loro apostolato nel mondo, a modo di fermento” (Apostolicam Actuositatem 1,2).
Come le Aggregazioni laicali possono essere testimoni e generatrici di speranza nella Chiesa e nella società italiane?
Vivendo quei valori che non si basano sui numeri, sull’efficienza o sul protagonismo… perché il Signore Gesù ne ha scelti 12, uno più malandato e malconcio degli altri, e a questi ha dato il compito di portare il Vangelo a tutte le genti. Ci ha detto pure che la logica del Regno è la logica del seme, che per dare frutto muore. Allora
si tratta di essere portatori con la vita, più che con le parole, della logica del dono, della gratuità, della bellezza, della cura, del “tu mi stai a cuore”.
Si tratta di essere persone che vivono fino in fondo la bellezza dell’Incarnazione e l’assumono come cifra del vivere; lì dove ognuno sta, siamo chiamati a far fiorire il Regno con gli strumenti che abbiamo nelle mani, con le relazioni che intessiamo: nel lavoro, nel quartiere, nella parrocchia, nella scuola, nell’università, e in generale in tutti gli ambiti della società. La dimensione di impegno attivo per la costruzione del Regno è essenziale. Credo che per ogni battezzato siano di riferimento i testi conciliari e tutto il magistero. La Fratelli tutti, la Laudato si’ e l’Evangelii Gaudium ci hanno messo su questo cammino e mi sembra che Papa Leone continui in questa direzione.
Non dobbiamo mai dimenticare che è la realtà in cui viviamo lo spazio in cui si gioca la storia di salvezza di ciascuno. Dobbiamo vivere il “qui e ora” con la consapevolezza della chiamata ad evangelizzare, ad essere Vangelo vivente come direbbe Francesco d’Assisi.
Il laicato associato ha una peculiarità importante nell’impegno di evangelizzazione e di costruzione della storia: vive la dimensione comunitaria con la specificità di un carisma e questo aiuta a sperimentare la ricchezza e la bellezza della Chiesa. In un mondo segnato dall’individualismo e dalla competizione, i laici associati possono
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essere testimoni di generosità, comunione e armonia.
Il Giubileo del 7-8 giugno sarà la prima occasione per incontrare Papa Leone XIV. Che cammino auspica possa essere compiuto con questo Pontefice?
La rapida elezione di Papa Leone XIV ha già testimoniato una grande comunione del collegio cardinalizio, frutto dell’azione dello Spirito Santo. I primi gesti che il Pontefice ha compiuto – ad esempio mettere a disposizione il Vaticano per i negoziati tra Russia e Ucraina – mi hanno riempito della speranza che lo Spirito continuerà ad operare meraviglie in lui e con lui, per la Chiesa e per il mondo.