Il ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara sceglie la linea dura: gli smartphone devono restare fuori dalle aule italiane, anche alle superiori. Nessun utilizzo consentito, neppure per fini didattici. Molte le voci che vedono nel provvedimento finalmente un tentativo di arginare, almeno a scuola, una presenza sempre più pervasiva e problematica nella vita degli adolescenti. Eppure, sia dentro che fuori la scuola, chi si occupa di educazione non nasconde, davanti a tale orientamento, dubbi e perplessità. Tra loro c’è Davide Dal Maso, 29 anni, di Trissino, in provincia di Vicenza. Nel 2016, mentre era ancora studente delle superiori, ha dato vita al Movimento etico digitale, una realtà no profit che conta oggi oltre 250 formatori volontari in tutta Italia e che si occupa di sensibilizzare ragazzi e genitori sulle potenzialità e sui rischi del web.
Cosa ne pensa della linea adottata dal Ministero?
«Proibire l’utilizzo dello smartphone in classe e poi magari poterlo usare senza alcun limite fuori dalla scuola ritengo non sia educativo. Senza contare che ormai il telefono è diventato uno strumento di lavoro abituale per tutti, sia in termini di relazioni che di competenze. Penso che sarebbe meglio che la scuola desse il suo contributo per insegnare a usarlo in modo consapevole. In un mondo connesso, una scuola disconnessa rischia di generare un grande impoverimento per i ragazzi».
Ma non pensa che sia giusto che ci siano degli spazi e dei momenti in cui il telefono dovrebbe restare spento?
«Certo, sono convinto che sia importante recuperare in certi momenti un rapporto con gli altri e con la realtà non mediato dallo schermo di un telefono. Può essere il momento dello sport, l’ora di religione, il tempo che passiamo in chiesa, una passeggiata nella natura, quando siamo in compagnia degli amici o leggiamo un libro, ma proibirlo in aula credo sia un’imposizione fuori tempo, che non tiene conto di come i ragazzi oggi si informano, approfondiscono, cercano di capire il mondo che li circonda. Il vero problema, secondo me, non è l’eventuale utilizzo a scuola per fini didattici, ma il tempo libero».
Non le sembra che ci sia più solitudine e lontananza oggi con tutti questi mezzi a disposizione per comunicare? «Poter accedere al web attraverso il telefono apre dinamiche ambivalenti. Certamente restare in contatto con le persone care è molto più facile di un tempo. Un mio zio è missionario laico in Brasile, un tempo non lo vedevamo praticamente mai. Oggi possiamo sentirci e vederci anche ogni giorno. Eppure gli smartphone, che sono dei connettori fantastici, poi rischiano di disconnetterci gli uni dagli altri. Ci aiutano a organizzare il momento di ritrovo con gli amici e poi quando finalmente siamo tutti insieme, ognuno si isola davanti allo schermo del proprio telefono. È davvero paradossale».
Le statistiche parlano di una media di sei ore al giorno davanti allo schermo per i ragazzi europei. Non le sembrano troppe? «Indubbiamente, come lo sono le quattro o cinque ore che mediamente anche la popolazione adulta spende ogni giorno utilizzando il proprio smartphone. Non è un problema solo dei ragazzi. Ma, ripeto, il punto nodale non è l’uso che ne possiamo fare a scuola o per il nostro lavoro. Il problema è quando diventa tempo rubato alle relazioni, unica modalità di occupare il tempo libero. Il nostro movimento propone weekend di digital detox (disintossicazione digitale, ndr), ma ci sono tante esperienze interessanti che vengono avanti in Italia. In Sardegna hanno aperto un parco bellissimo: per entrare devi depositare il telefono all’ingresso in una cassetta di sicurezza. Vivere le cose senza distrazioni o senza l’ansia di condividerle subito sui social è una grande liberazione».
Prima di quale età pensa che sarebbe meglio non dare in mano uno smartphone a un bambino? «Certamente non prima dei 10 anni. Poi però bisogna evitare di dare lo smartphone improvvisamente e senza mediazioni al ragazzo. Bisogna educare all’uso progressivamente, la parola chiave è “consapevolezza”. Con il progetto “Social warning” del Movimento etico digitale abbiamo finora incontrato proprio nelle scuole oltre centomila studenti in Italia. Il Senato ha già approvato a inizio anno la nostra proposta di legge per l’istituzione della Giornata della cittadinanza digitale. Ma quello che serve poi è continuare un lavoro di sensibilizzazione capillare, anche fuori dalle scuole, intergenerazionale, magari anche nelle parrocchie, nei gruppi, nelle comunità. È una questione che ci riguarda tutti».