La prima tappa è raggiunta, la prima delle tre proposte votate dal Sinodo, che si è concluso nel febbraio del 2024, ora è realtà. Cambia dunque la “geografia pastorale” della Diocesi di Padova. Nascono 47 Collaborazioni Pastorali, ciascuna con un coordinatore presbitero e uno laico o laica, raggruppate in 16 nuovi Vicariati che hanno ora compiti differenti da quelli a cui siamo abituati. Vescovo Claudio, all’Assemblea diocesana del 18 giugno in cattedrale è stato annunciato che le Collaborazioni Pastorali sono realtà. Qual è il senso di questo momento?
«Oggi percepiamo un segnale significativo: il cammino che abbiamo compiuto, così impegnativo, che ha coinvolto tutte le parrocchie e così tante persone, sta portando risultati operativi: il Sinodo non si è risolto in un semplice scambio di opinioni ma, com’è nella sua natura, ha portato a delle scelte e orientamenti, che in questi mesi ho fatto miei, e che adesso iniziano a dare frutto. Le Collaborazioni Pastorali forse non sono nemmeno il risultato più prezioso ma è coerente con quanto stabilito dal Sinolo, così la nostra Chiesa si ripensa anche nella parte organizzativa per rendere possibili le future scelte pastorali, prima tra tutte quella di dare alle nostre comunità una dimensione basata sulla fede e sulla partecipazione di tutti i battezzati».
Quale sarà quindi allora il passaggio più importante?
«Guardando in prospettiva, la possibilità di riscoprire il valore della partecipazione di tutti i cristiani alla vita della Chiesa e non soltanto la figura di uno dei ministeri. Questo desiderio di condivisione comunitaria prenderà vita con i ministeri battesimali, nei prossimi anni. Si tratta di un grande cambiamento perché – mentre negli ultimi secoli, pur avendo un grande sostegno da parte dei cristiani, a condurre la vita delle nostre comunità sono stati soprattutto i preti, i quali offrivano servizi religiosi a una società totalmente cristiana nella quale la trasmissione della fede avveniva quasi naturalmente all’interno della famiglia – oggi è necessario il coinvolgimento di tutti i battezzati pronti a rendere ragione della loro fede per annunciare il Vangelo. La Chiesa non può più immaginare di offrire dei servizi complementari all’annuncio della fede: occorre partire da questa dimensione iniziatica e insieme missionaria. Per noi preti e vescovi, significa riscoprire il nostro ministero come servizio di questi cristiani che con la loro testimonianza possono diventare il perno della vita di fede nel nostro tempo, proprio come si documenta in altri Paesi dove il cristianesimo sociale è già superato o non si è mai realizzato. Possiamo dire che in futuro non ci sarà più una parrocchia dove ci sarà un prete, ma dove sarà presente una comunità che si organizza per rendere possibile la vita fraterna e la vita di fede, nella custodia del Vangelo. Qui si innesta la terza scelta del nostro Sinodo diocesano, oltre alle Collaborazioni Pastorali e ai ministeri battesimali: i piccoli gruppi della Parola di cui ci occuperemo negli anni a venire. Credo che sia questo il segno più sfidante: invitare a radunarsi attorno alla fede nel Signore per custodire qualche cosa che è nostro proprio, il Vangelo, il tesoro che noi possiamo offrire ogni giorno al mondo, alla società, alla cultura, ai giovani».
Allora come le Collaborazioni Pastorali saranno funzionali a questa nuova visione di Chiesa? «Sarà fondamentale che una comunità possa sentirsi aiutata dalle vicine qualora fosse in difficoltà. Il senso della Collaborazione Pastorale non è da intendere come una nuova esperienza di aggregazione tra parrocchie. È invece pensata al servizio della singola comunità: ogni comunità può essere aiutata dalle altre e al contempo può dare sostegno, nella speranza che tutte possano essere autosufficienti e che si possa parlare quindi di un’esperienza di fraternità tra comunità cristiane. L’intento dunque non è quello di unificare, magari nella parrocchia più grande della Collaborazione, ma di fare insieme tutto il possibile perché ovunque si celebra l’eucaristia, anche se magari non tutte le domeniche, possa continuare a esserci un’esperienza di comunità».
Nel cammino di realizzazione del Sinodo, in molti si sono messi in gioco in prima persona. Pensiamo ai membri dei consigli pastorali parrocchiali, in carica da un anno, e ora anche ai coordinatori preti e laici delle Collaborazioni Pastorali. C’è un pensiero che vuole rivolgere a tutte queste persone?
«Condivido con tutti loro la gioia di essere stati chiamati ad una missione e ad una missione che ha tanti aspetti di novità e di creatività e che vuole continuare a portare il messaggio che Gesù ci ha lasciato a partire dagli apostoli e che i nostri nonni e genitori hanno trasmesso fino a noi. Adesso si cambia perché è cambiato il contesto culturale nel quale viviamo: dobbiamo accettare la sfida di un modo nuovo di annunciare il Vangelo di sempre, perché possa essere compreso e raggiungere quanti più destinatari possibile. Di fronte a questa sfida noi abbiamo scelto la strada più difficile, più impegnativa e più complessa: quella del coinvolgimento dei cristiani e non quella di offrire ulteriori servizi sociali o religiosi. Speriamo che ogni cristiano arrivi a sentirsi discepolo di Gesù e quindi anche missionario, secondo la definizione di papa Francesco. Certo, in questo cammino occorre procedere con pazienza, l’orizzonte è tracciato, ma non sarà facile da raggiungere. Soprattutto ai Coordinatori presbiteri e laici sarà necessaria una stretta alleanza con il vescovo e con i collaboratori diretti del vescovo per poter camminare insieme e compiere quei passi possibili e necessari, in una logica sinodale. La parola chiave in questo senso è vocazione: siamo chiamati dal Signore a questa nuova esperienza di edificazione della comunità cristiana, in quest’ottica viviamo qualsiasi tipo di servizio che assumiamo all’interno della comunità cristiana, attraverso il quale crescere nella fede alla luce del Vangelo».