Terra di acque il Veneto lo è sempre stato: nel paesaggio, nelle mappe e nelle parole. Una regione costruita scavando canali, drenando, regimentando. Tutte le civiltà nascono intorno a fiumi: la nostra, ci ricorda Filippo Moretto nel libro Il tempo dell’acqua (Ronzani Editore 2025, 240 pagine, 20 euro il prezzo di copertina), non fa eccezione: «L’acqua è il primo elemento che l’uomo si trova a dover gestire – spiega l’autore, a seguito di una presentazione presso la libreria Feltrinelli di Padova – Quando è troppa, la toglie; quando manca cerca di portarla». In questo senso, le risorse idriche rappresentano la metafora più concreta del rapporto tra esseri umani e ambiente. Un rapporto che, però, oggi si sta spezzando. Inverni secchi ed estati roventi, bombe d’acqua e grandinate fuori scala, falde che si abbassano e fiumi che esondano: spesso con conseguenze drammatiche, come abbiamo visto in Texas o in Romagna. Anche in Veneto però, lo si riconosca o no, il cambiamento climatico sta modificando profondamente il ciclo dell’acqua. Piove meno spesso, ma in modo più concentrato: «Da qui ai prossimi anni – spiega Moretto – avremo le stesse precipitazioni, ma distribuite in meno giorni. Per questo dobbiamo pensare a come trattenere l’acqua quando è disponibile, per poi rilasciarla gradualmente». Qui sta il cuore del saggio: un testo a metà tra la divulgazione e l’analisi tecnico-scientifica, che nasce, dice l’autore, «per fare proposte, non solo denunce. È pensato per i giovani, per chi ha voglia di capire cosa si può fare, davvero, da adesso in avanti». E fare qualcosa si può. Serve però cambiare sguardo: smettere di considerare l’acqua come una risorsa infinita, o al massimo come un problema da affrontare solo in emergenza. Il Veneto, come molte aree d’Europa, ha un rapporto molto stretto con la gestione delle acque. Interi territori sono stati bonificati, interi sistemi paesaggistici – dalle risorgive ai canali scolmatori, dalle idrovore ai bacini artificiali – sono il risultato di una gestione portata avanti nei secoli. «L’ambiente in cui viviamo – sottolinea Moretto – è ecologicamente inseparabile dalla gestione delle acque che vi è stata praticata. E l’economia che vi si è sviluppata ne è una conseguenza diretta». Una situazione che oggi è sotto pressione. E l’adattamento diventa necessario. Moretto lavora nei consorzi di bonifica, strutture fondamentali che tutti in qualche modo sosteniamo, ma che spesso – a parte la bolletta che arriva ogni anno a ogni proprietario di un immobile – rimangono quasi sconosciute nel loro funzionamento. «Si tratta invece di strumenti intelligenti per affrontare il futuro climatico, nati dal basso e in qualche modo espressione di una democrazia diretta che gestisce il territorio in modo concreto e capillare. Sono un presidio e andrebbero potenziati, non marginalizzati».
L’acqua dunque va trattenuta sul territorio. Non solo con invasi o dighe, ma con tecniche più leggere ed ecologiche: «Serve una rete diffusa di piccoli bacini, aree drenanti e suoli spugnosi». La vera sfida proposta da Moretto è infatti quella di riuscire a ricaricare le falde dopo decenni di sfruttamento intensivo. Come? Ad esempio attraverso un sistema di boschi da situare nella pedemontana, impedendo alle precipitazioni che scendono giù dai rilievi di scivolare via: un sistema ecologico e poco costoso che in fase di sperimentazione sta già dando ottimi risultati. Serve però soprattutto un’idea di territorio, richiede anche una visione culturale e politica: che idea abbiamo dello spazio in cui viviamo? Il tema si fa ancora più urgente se si considera il ruolo centrale che l’agricoltura irrigua ha nell’economia e nella sicurezza alimentare. Oggi, il 20 per cento della superficie coltivata italiana produce il 60 per cento del valore dell’intero settore agricolo: questo è possibile solo grazie all’irrigazione, che però finisce sul banco degli imputati durante i periodi di siccità, a causa di presunti sprechi. Da qui la spinta, anche con fondi del Pnrr, a “sigillare” i canali, a costruire acquedotti a pressione. C’è però sempre un prezzo ecologico: «Se tutta l’acqua scorre in tubi, che fine faranno i trampolieri, le rane, i pesci dei canali, la flora e la fauna che compongono la nostra ricca biodiversità? – si chiede Moretto – Soprattutto però cosa ne sarà dell’ambiente in cui viviamo e in cui siamo cresciuti, che così rischia di essere desertificato?». Serve dunque un equilibrio: efficienza, sì, ma anche relazioni ecologiche da preservare. Non è solo una questione tecnica, ma culturale. “Cultura” e “coltura” hanno del resto la stessa radice. «Siamo quello che mangiamo – osserva Moretto – ma anche il modo in cui lo produciamo plasma il nostro paesaggio, le nostre relazioni, la nostra civiltà. Oggi dobbiamo imparare a coltivare e a coltivarci. E scoprire, oltre alle nostre capacità produttive, anche quelle rigenerative del territorio». La vera sfida è insomma anche sociale e politica. Moretto lo dice chiaramente: «L’acqua non è mai sprecata. Ma dobbiamo decidere che tipo di territorio vogliamo. Dobbiamo tornare a dare spazio ai fiumi, non solo contenerli. Serve capacità di visione, di dialogo, di scelta». E conclude: «Non basta dire di sì o di no a una diga. La vera domanda è: che società vogliamo costruire intorno all’acqua?». Una domanda che riguarda tutti. E che dal Veneto, terra d’acqua, può trovare una risposta per l’Italia intera.
Il tempo dell’acqua (Ronzani Editore 2025, 240 pagine, 20 euro). La gestione consapevole delle risorse idriche come risposta necessaria al cambiamento climatico. Questo libro sollecita, con realismo e in modo concreto, l’impegno e le capacità che possono essere di ciascuno; lo scopo è quello di monitorare la gestione locale delle risorse idriche avendo in mente il bene di tutti.