Mentre l’attenzione del mondo è fissata sul Medio Oriente, la Cina continua la sua campagna di avvicinamento diplomatico ed economico con altri Stati. Durante l’incontro dei ministri africani aderenti al Forum on China-Africa Cooperation, che si è tenuto a Changsha, nella Cina centrale, nella seconda settimana di giugno, il governo cinese ha dichiarato di voler rimuovere tutti i dazi per i prodotti importati dai paesi africani, a esclusione di eSwatini – Stato che riconosce Taiwan ed è quindi considerato non amichevole. La decisione è una chiara risposta alla guerra dei dazi provocata dal presidente statunitense Trump. Allo stesso tempo, permetterà una maggiore penetrazione dei prodotti africani nel mercato cinese. La Cina ha fatto bene i suoi conti, sono loro ad aver bisogno delle risorse africane, che ora saranno più disponibili, vista la buona volontà da loro dimostrata verso il continente. La Cina non si ferma qui. A fine maggio, il governo cinese ha ospitato nella città portuale di Xiamen, collocata di fronte a Taiwan, un incontro con i rappresentanti degli stati dell’Oceania. La scelta del luogo è simbolica: mentre gli Stati Uniti rafforzano i rapporti con i paesi dalla Corea del Sud fino a Singapore passando per Giappone, Filippine, Malaysia e Taiwan, la Cina vuol far vedere che è in grado di superare questa barriera e parlare direttamente con il mondo al di là d’essa. L’Oceania è sempre stata una regione legata agli Stati Uniti. Le mosse diplomatiche cinesi sono quindi una sfida che Washington non potrà ignorare. La Cina ha da tempo rafforzato i suoi legami con Figi, Kiribati, Papua Nuova Guinea, Vanuatu, Isole Cook, Nauru, Isole Salomone, Niue, Tonga e gli Stati federati di Micronesia. Paesi forse irrilevanti agli occhi dei più, ma non sempre la popolarità di una destinazione ne dice il vero valore. Sebbene gli Stati Uniti stiano tentando di riguadagnare influenza nella regione, la Cina risponde aiutando i paesi oceanici a costruire quelle infrastrutture – soprattutto porti e aeroporti – di cui hanno maggiormente bisogno. È chiaro che Pechino non si sta muovendo per fare beneficenza. L’apertura a questi paesi e la loro inclusione nel grande progetto economico delle “nuove vie della seta” vanno di pari passo con la cooperazione militare e quella economica. Al vertice di Xiamen, i Paesi partecipanti hanno ribadito il loro rapporto con Pechino, a scapito di quello con Taiwan. L’esercito cinese ha già aperto delle basi presso le Isole Salomone, altre potrebbero nascere a Kiribati e Nauru. Aggirando così l’accerchiamento virtuale tentato dagli Stati Uniti. La Cina mira anche all’estrazione di minerali dai fondali della regione. Questi sono ricchi di terre rare, necessarie per lo sviluppo dell’elettronica, e soprattutto di noduli polimetallici. La questione se sia legale estrarli dai fondali è dibattuta sia nel mondo diplomatico che da varie agenzie dell’Onu. In realtà, le Isole Cook hanno già dato il via libera alla Cina di esplorare i fondali della loro zona economica esclusiva: un’area di due milioni di chilometri quadrati. Un affare miliardario che potrebbe avere serie conseguenze. Infatti, molte compagnie private sono pronte a entrare in competizione con quelle cinesi, ma per ora non possono operare grazie ai divieti imposti dai trattati internazionali. La Cina non mira ad un espansionismo territoriale, ma certamente ha ben altri fini per quanto riguarda l’accaparramento delle risorse.