Idee | Lettera.D
L’8 luglio scorso la Camera dei deputati ha approvato (con 153 voti a favore e 110 contrari) il disegno di legge intitolato “Disposizioni per il riconoscimento e la promozione delle zone montane”, che ora passa in ultima lettura in Senato. Si tratta del quarto disegno di legge organico sulla montagna, in media uno ogni 20 anni (dopo quelli del 1952, del 1971, del 1994), da quando cioè la Costituzione nell’articolo 44 ha previsto interventi “a favore delle zone montane”. Nonostante questo, possiamo dire che le “terre alte” non godano complessivamente di buona salute nel nostro Paese, se i processi di declino demografico e spopolamento in questi decenni hanno interessato e interessano tuttora buona parte della montagna italiana, e se ancora oggi – dopo tre provvedimenti legislativi e l’avvio nel 2013 della Strategia nazionale per le aree interne (Snai) – il legislatore ha ritenuto necessario pensare a una nuova legge, per cercare di contrastare processi di marginalizzazione di eredità secolare. Va detto che la direzione del nuovo disegno di legge è quella giusta, ovvero favorire il ripopolamento della montagna e ridurre le condizioni di svantaggio di buona parte del territorio italiano: la montagna, infatti, non è una porzione marginale del nostro Paese, i Comuni montani sono 3.524 su 7.904, rappresentano il 45 per cento del territorio (ma si arriva oltre il 50 per cento con i Comuni parzialmente montani). Non stiamo parlando dunque di “eccezioni”, ma della dorsale del nostro Paese. Nel disegno di legge sono previsti incentivi per attività agrosilvopastorali, crediti d’imposta per giovani che vogliano fare impresa in montagna, agevolazioni per professioni sociosanitarie e personale scolastico, per il lavoro agile dei giovani, per la compravendita e ristrutturazione di immobili e terreni, interventi di infrastrutturazione digitale contro il digital divide. Sembra davvero di essere di fronte a una svolta, preludio a una inversione dello sguardo e di prospettiva rispetto a un’idea di montagna come luogo per il turismo e la compensazione naturalistica della nostra pesantissima impronta carbonica. Dove sta, allora, il problema? Come sempre nei dettagli: le vie dell’inferno sono sempre lastricate di buone intenzioni, avvertiva Bernardo da Chiaravalle, e anche le migliori intenzioni possono portare a conseguenze negative o indesiderate, se non vengono seguite da azioni concrete e appropriate. E allora vale la pena di indicare qui almeno tre fragilità sottese all’articolato di legge. La prima riguarda la definizione di “zone montane”, che è il perimetro di applicazione delle misure previste, demandato a un decreto attuativo entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge. Se si rimane dentro lo schema di una definizione altimetrica di montagna (quello oggi vigente: Comuni con dislivello o quota superiore a 600 metri nell’80 per cento del territorio) e non si coniuga la montuosità fisica con la montanità ovvero i caratteri socioeconomici (livelli di reddito medio o situazioni di declino demografico), il rischio è che rimanga fuori dall’applicazione una montagna povera a bassa montuosità o rimanga dentro una montagna ricca ad alta montuosità che di questi incentivi non avrebbe bisogno. Un esempio per tutti: Cortina d’Ampezzo e Cavargna sono due Comuni montani sopra i 1.000 metri di quota, ma Cortina è uno dei più ricchi della provincia di Belluno, Cavargna è il Comune montano in provincia di Como più povero d’Italia in base ai redditi dichiarati nel 2024. Per la legge i due Comuni sarebbero uguali. Il secondo rischio riguarda la dotazione finanziaria per queste misure, ovvero la consistenza del Fondo nazionale per la montagna, a cui tutte le agevolazioni previste dovrebbero attingere, che non è infinita: la legge prevede una dotazione di 196 milioni di euro l’anno per il triennio 2025-2027, qualcosa di più e meglio delle dotazioni medie degli ultimi 20 anni, ma se distribuiamo tale cifra tra gli oltre 3.500 comuni interamente montani si arriva a un importo di 65 mila euro a Comune, praticamente briciole… Una legge senza portafoglio adeguato nega nel concreto i principi affermati in astratto, marcando quel divario tra propositi e atti concreti spesso esaltato nella retorica politica recente. Il terzo elemento di fragilità è dato dalle misure strutturali che la legge demanda ad altri atti normativi, che sono a carico di altri Ministeri, e quindi tutti da definire nel dettaglio: penso ai decreti relativi alla riduzione delle tariffe energetiche, al Registro nazionale dei terreni silenti o al Tavolo tecnico per la ricomposizione fondiaria affidati al Ministero per l’agricoltura, la sovranità alimentare e le foreste (Masaf), da cui dipendono le possibilità di superamento di limiti strutturali importanti per rilanciare davvero l’economia e dunque la vitalità della montagna. Sta nel modo in cui verranno gestite queste tre sfide la possibilità concreta di un ritorno a una montagna viva, che contrasti la retorica oggi ancora dominante di una “terra di colonia” al servizio della sete di natura, aria fresca e tempo libero delle città, e dunque la possibilità di evitare che – per l’ennesima volta – la montagna partorisca il topolino.