Chiesa
“Pit stop per lo Spirito”, l’ultimo libro di don Giuseppe Costa (Giuseppe Sciascia Editore), è un testo tanto agile quanto denso, capace di scardinare l’inerzia spirituale che troppo spesso anestetizza il nostro tempo. Non è un trattato sistematico, né un’opera di alta teologia accademica. Eppure, proprio grazie alla sua forma essenziale, alla limpidezza del dettato e alla pacata autorevolezza dello sguardo, il volume offre un’intensa proposta di riorientamento e un invito sobrio ma incisivo alla ricerca di senso. La metafora del “pit stop”, già evocata nel titolo, allude a quella sosta necessaria che ogni cammino richiede: una pausa per lasciarsi rifornire interiormente prima che la corsa dell’esistenza esaurisca il fiato e spenga la luce.
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Queste riflessioni brevi non pretendono di spiegare Dio, ma di invocarlo. Sono come finestre aperte sull’invisibile, frammenti narrativi che si offrono come luoghi di ascolto e di attesa.
Costa scrive da pastore e da educatore, con la sobrietà di chi conosce la profondità dell’animo umano, nutrito da una lunga familiarità con la Scrittura, la poesia, la sapienza spirituale dell’Europa cristiana. La sua prosa, colta e accessibile, si alimenta di voci autorevoli e mai citate per ornamento: Agostino, Benedetto XVI, Newman, Péguy, Frossard, Clodel, Mauriac. Ogni nome è la traccia di un dialogo vivo tra pensiero e esperienza, fede e storia, Parola e carne.
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La consapevolezza che attraversa l’intero libro è chiara: la fede non è un oggetto da possedere, ma un cammino da percorrere, fragile e dinamico, che chiede continua rigenerazione attraverso la Parola, la preghiera, l’incontro.
Per Costa, convertirsi non è aderire mentalmente a una dottrina, ma lasciarsi toccare da una Presenza che riscalda il cuore e spezza il pane. L’episodio dei discepoli di Emmaus, letto come paradigma del pellegrinaggio interiore di ogni credente, diventa la chiave di volta di una vera antropologia della speranza: “Quando il senso intravisto viene a mancare – scrive – l’essere umano si trova di fronte a un vuoto vertiginoso”. Solo l’incontro con il Risorto, anche se inizialmente irriconoscibile, può ridare coerenza, slancio e orientamento.
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Il vertice del volume è rappresentato dalla riflessione sulla preghiera. Costa ne smaschera le derive moralistiche o utilitaristiche, restituendole la sua natura originaria: dialogo vivo con il Mistero, relazione affettiva e radicale affidamento.
Alla scuola di Gesù, che “insegna pregando”, il lettore è condotto in un itinerario sobrio e profondo. Splendida, per intensità e delicatezza, la sezione dedicata ai Salmi: qui l’autore ci ricorda che “ dovremmo recitarli non come composti dal profeta ma da noi stessi, quale nostra preghiera personale”, che sa abitare la notte, la solitudine, la lode, il ringraziamento.
Non mancano, infine, pagine di respiro ecclesiale e culturale. Nel capitolo “Una speranza nel cuore”, Costa propone una rilettura della virtù della speranza alla luce del cambiamento d’epoca. Citando la “Spes non confundit” e la “Evangelii gaudium”, l’autore invita la Chiesa a uscire da ogni tentazione di rifugio sistemico o spiritualismo astratto, per riconoscersi popolo pasquale chiamato a “costruire la storia” attraverso le virtù teologali:
“Pit stop per lo Spirito” è un libro da gustare lentamente: non da “finire”, ma da abitare. Le sue pagine custodiscono il respiro dell’essenziale e restituiscono al lettore il suo volto di pellegrino. Chi vi si accosta con cuore aperto potrà riscoprire, nel silenzio e nella parola, l’eco di quella voce che, da Emmaus a ogni nostro oggi, non smette di sussurrare: “Resta con noi, Signore, perché si fa sera”.