Idee
Giovani che si rimboccano le maniche, che si impegnano per ridare vita a giardini, panchine, aiuole e spazi pubblici dimenticati. Li si vede all’opera in piccoli gruppi, dieci ragazzi per squadra, affiancati da un tutor under 30 e da un handyman o una handywoman: un adulto con esperienza, spesso over 65, che condivide con loro competenze manuali e saperi di vita. È questa l’immagine che restituisce “Ci sto? Affare fatica!”, progetto nato nel 2016 a Bassano del Grappa e oggi attivo in 300 Comuni di sette Regioni italiane. Coinvolge oltre ottomila giovani ogni estate e racconta un’altra storia rispetto a quella, spesso stereotipata, di una gioventù apatica e distante. Nel territorio dell’Alto Vicentino l’iniziativa è coordinata dalla Cooperativa Radicà di Calvene: «Siamo partiti nel 2019 con due Comuni, ora sono 14 – racconta la referente Lucia Lovato – In due giorni esauriamo le iscrizioni e i ragazzi tornano volentieri: anche quelli più scettici alla fine ci ringraziano assieme alle famiglie, che li vedono riscoprire il valore della fatica e dell’impegno civico. E noi vediamo crescere la loro motivazione giorno dopo giorno». Ogni squadra si prende cura di un bene comune individuato insieme al Comune: spazi né privati né anonimamente pubblici, ma luoghi di tutti. «Sono parchi, scuole medie, ciclabili, aiuole: spazi che questi ragazzi attraversano ogni giorno e che improvvisamente vedono con occhi diversi. Rimettere a posto una panchina o una ringhiera diventa un modo per lasciare un segno, per sé e per gli altri. Si riscoprono cittadini, custodi del proprio territorio», spiega Lovato. A rendere l’esperienza più significativa è la presenza delle figure adulte: i tutor, spesso ex partecipanti, e i già citati handymen, adulti autorevoli e radicati nel territorio. È proprio nello scambio tra generazioni che il progetto trova una delle sue chiavi di forza. «Si crea un legame: i ragazzi apprendono competenze pratiche, ma soprattutto entrano in relazione con chi li accompagna. L’impegno diventa occasione di incontro, di trasmissione di valori e di storie». Il progetto è finanziato da Comuni, piccole imprese e banche di credito cooperativo. Alla fine della settimana, a ogni partecipante viene consegnato un “buono fatica” da 50 euro, spendibile nei negozi di prossimità. Non è una paga, ma un riconoscimento. «Il buono ha un valore simbolico: il vero motore dell’esperienza è la voglia di partecipare – sottolinea Marco Lo Giudice, della cooperativa Adelante di Bassano, capofila della rete nazionale del progetto, e tra gli ideatori dell’iniziativa – Nei questionari che distribuiamo, i ragazzi ci dicono che la cosa più importante per loro è conoscere nuove persone, sentirsi parte di qualcosa, creare legami». Lo Giudice ripercorre le origini del progetto: «Nell’estate 2016 il Comune di Bassano ci propose di sperimentare un’attività estiva per i giovani; insieme abbiamo deciso di scommettere sull’impegno civico e la cura dei beni comuni. E così è nato “Ci sto? Affare fatica!”, e dopo poco tempo ci è letteralmente esploso in mano, tra file per iscriversi e un entusiasmo inatteso. Così l’estate successiva ci hanno chiesto di estendere l’iniziativa e oggi siamo presenti stabilmente, oltre che in Veneto, in Lombardia, Trentino-Alto Adige, Toscana, Marche, Puglia e Lazio. Noi forniamo il know-how, ma poi sono i Comuni e le realtà locali a costruirlo sul proprio territorio». Nel 2019, l’Università di Venezia ha condotto uno studio sul ritorno sociale dell’iniziativa: per ogni euro investito, ne ritornano al territorio 7,75 in termini di benefici collettivi. «È un dato che ci conferma quanto questa esperienza sia efficace, non solo sul piano educativo ma anche su quello sociale », osserva Lo Giudice. Una delle cifre distintive del progetto è la sua inclusività. Non è pensato specificamente per giovani vulnerabili, ma riesce ad accogliere e valorizzare tutti. «Le famiglie ci raccontano di figli che tornano a casa cambiati, più autonomi, più responsabili. Per i più giovani, magari appena usciti dalle medie, è quasi un rito di passaggio – aggiunge Lucia Lovato – Non è scuola, non è lavoro e non è neppure volontariato in senso classico. È un’esperienza unica, dove si impara facendo e si scopre che prendersi cura di qualcosa lascia il segno, dentro e fuori». Il progetto non si è mai interrotto, nemmeno durante la pandemia. Nel 2020 e 2021, pur con tutte le limitazioni, le attività sono continuate. «Anzi – sottolinea Lo Giudice – proprio in quei mesi abbiamo sentito ancora più forte il desiderio dei ragazzi di lasciare una traccia, di contare, di sentirsi parte di comunità». Oggi, alcuni di quei ragazzi sono diventati tutor: un passaggio di testimone che arricchisce il progetto di memoria e continuità. “Ci sto? Affare fatica!” è molto più di un’attività estiva: è una scuola di cittadinanza, un laboratorio di comunità, un luogo in cui le energie di generazioni diverse si incontrano e costruiscono insieme il futuro. E in un tempo segnato da disillusione e sfiducia, è forse una delle poche risposte concrete a una domanda di senso e di comunità.

Nel piccolo Comune di Arsiè, 2.170 abitanti in provincia di Belluno, è bastata una settimana per lasciare il segno. Con il supporto della cooperativa sociale PortAperta di Feltre, dieci ragazzi, guidati dalla tutor Eleonora Maddalozzo e supportati nelle attività manuali più complesse da Dario Dall’Agnol – entrambi consiglieri comunali – hanno ridato vita a panchine e arredi urbani: «La cittadinanza ha apprezzato e l’anno prossimo vorremmo prolungare l’iniziativa di un’altra settimana – spiega l’assessore Andrea De Bortoli – Un modo per far nascere una coscienza civica nei giovani e contrastare lo spopolamento». Il progetto si adatta ai territori e li rispecchia. A Vigonovo, nel Veneziano, ragazze e ragazzi hanno sistemato, oltre a svolgere altre attività, i cancelli delle scuole, del centro ricreativo e del cimitero: «L’opportunità per i giovani – secondo il sindaco Luca Martello – di avvicinarsi concretamente al loro territorio, imparando ad amare e a custodire il patrimonio pubblico», mentre per l’assessora alle politiche giovanili Sabrina Dorio «il progetto ha superato ogni aspettativa, con una partecipazione di 43 giovani motivati che si sono messi a disposizione della comunità con serietà e impegno, accompagnati con passione e competenza». Il valore dell’iniziativa è insomma essenzialmente educativo, con il lavoro e, appunto, la fatica che diventano occasione per cambiare prospettiva: sugli altri, sul proprio territorio, su sé stessi: anche per chi parte con fatica in più. Lo racconta Andrea Trevisani, direttore della cooperativa “Giovani Amici” di Terrassa Padovana: «Abbiamo affiancato agli altri partecipanti alcuni ragazzi con disabilità che seguiamo, con la presenza degli educatori; un modo anche per affermare che ognuno può contribuire a modo suo al bene comune». Eleonora Gastaldello, referente del progetto nella stessa cooperativa, sottolinea invece il significato culturale di un’iniziativa che in questa declinazione «non solo favorisce la socializzazione, ma ribalta anche sguardo e pregiudizi: le persone con disabilità non solo hanno diritti ma anche doveri, e possono contribuire come tutti». Il progetto, in questo contesto, è diventato un laboratorio culturale sull’inclusione, che coinvolge anche i centri diurni e le comunità residenziali per persone con fragilità. In ogni luogo, “Ci sto? Affare fatica!” prende forma in base alle energie e ai bisogni locali; il messaggio però è sempre lo stesso: insieme, si può. A rendere possibile tutto ciò è spesso un ecosistema silenzioso ma efficace, fatto di cooperative sociali, amministrazioni locali, famiglie e attività commerciali di prossimità. La forza del progetto sta anche nella sua flessibilità, e forse però la vera innovazione è esattamente questa: trasformare la fatica in bene comune e fare delle differenze una risorsa, mettendo al centro la partecipazione.

Alle 8.30 i ragazzi si ritrovano nel luogo concordato con il tutor e l’handyman presso una scuola, un parco, una pista ciclabile. Indossano la maglietta rossa, si dividono i compiti, iniziano a lavorare. Sistemano aiuole, riverniciano panchine, installano fioriere, riparano cancelli, puliscono muri e marciapiedi. Per quattro ore, fino alle 12.30, ogni giorno per una settimana. Nelle squadre ci sono giovani di tutte le età, provenienze e storie: chi ha già fatto volontariato e chi è alla prima esperienza, chi arriva dal centro e chi dai quartieri più periferici, chi è spigliato e chi più riservato. Alla fine della settimana, molti portano i genitori a vedere con orgoglio il risultato del lavoro svolto. La cittadinanza attiva inizia così: con un martello, un pennello e una mano tesa verso gli altri. E spesso resta dentro, anche quando l’estate finisce.
Nato nel 2016 a Bassano del Grappa, “Ci sto? Affare fatica!” si è rapidamente diffuso in Veneto e poi in tutta Italia. Oggi coinvolge oltre 300 Comuni in Veneto, Lombardia, Trentino Alto Adige, Marche, Toscana, Puglia e Lazio. Nell’estate 2025 sono attivi circa ottomila giovani divisi in oltre 700 squadre, ognuna composta da 10 giovani tra i 14 e i 19 anni e accompagnata da un tutor, di solito un giovane tra i 20 e i 30 anni, oltre che da un handyman o handywoman, di solito un pensionato tra i 60 e i 70 anni. Ogni partecipante riceve un “buono fatica” da 50 euro da spendere nei negozi locali aderenti: un invito ai giovani, che sempre più spesso si rivolgono all’e-commerce, a scoprire la rete dei negozi di prossimità. Secondo un’analisi condotta dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, per ogni euro investito nel progetto, il territorio riceve un beneficio di 7,75 euro.
Dal Veneto alla Toscana, passando per piccoli centri come Arsiè o Terrassa Padovana, “Ci sto? Affare fatica!” si adatta ai bisogni dei territori e diventa esperienza di cittadinanza, inclusione e comunità. Un progetto che costruisce legami, trasmette competenze e rafforza il senso di appartenenza.