«Una settimana segnata da un crescendo di bellezza, attesa e consapevolezza».
Così don Riccardo Pincerato, direttore del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei (Snpg), commenta, “a caldo”, i giorni intensi del Giubileo dei giovani che si è concluso domenica 3 agosto a Tor Vergata, con la messa di papa Leone XIV celebrata davanti a un milione di persone. Uno sguardo maturato sul campo, da dentro le giornate romane che hanno raccolto, intorno a un fitto programma di eventi, centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze da ogni parte del mondo. «La messa di apertura, martedì 29 luglio, ha dato il via a un’intensità e a una temperatura interiore crescenti – racconta il giovane prete vicentino – L’arrivo a sorpresa di papa Leone in piazza e le sue parole, “siate sale, siate luce”, hanno aperto una settimana davvero ricca. E al termine del Giubileo, ancora una volta a braccio, ha rinnovato quell’invito con la stessa forza».
Per don Pincerato è stata un’esperienza «molto sentita, in cui i giovani si sono sentiti accolti, accompagnati, messi di fronte a una proposta alta, capace di interrogarli e coinvolgerli davvero». Fede, amicizia, crescita, senso di Chiesa: «Tutti elementi che hanno trovato spazio, e che fanno maturare nei ragazzi la consapevolezza di vivere un tempo prezioso, forse irripetibile».
Cristo al centro. Nel cuore di questa esperienza, emerge con forza l’appello a «rimettere Cristo al centro». È il messaggio che – secondo il sacerdote – ha attraversato tutto il Giubileo. «Cristo risorto è la speranza concreta per operare scelte difficili – osserva – Il tema della scelta è ritornato più volte, soprattutto nella veglia e nella messa. Il papa ha invitato i giovani, citando sant’Agostino, a cercare la fonte di ciò che ci muove: non fermarsi alla bellezza, al Creato, al cuore, ma risalire all’oltre che ci attende. E quell’oltre è Cristo. Non un ideale da difendere, ma una relazione da vivere. Ed è solo a partire da un incontro, da una relazione viva, che possiamo compiere scelte importanti. Lo ha detto chiaramente: non si tratta di avere qualcosa, ma di incontrare qualcuno. Non qualcosa da possedere, ma qualcuno da amare».
La fragilità. Un’altra suggestione forte: «Confesso che durante la veglia di sabato 3 agosto, mi era sfuggita – ammette – Ma la domenica, vedere titolare i giornali, La fragilità non è un tabù, citando le parole del papa, ne ho colto tutta la potenza. È un messaggio controcorrente: in una società che premia la forza, il papa invita i giovani a non nascondere le proprie ferite. A dire con libertà: ho bisogno, ho limiti, ma non per questo sono meno amato o meno degno. Il papa ci ha invitato a non avere paura di mostrarla, a viverla con verità». Un appello che, aggiunge, «fa bene alla Chiesa, e fa bene anche alla città. Una società disarmata è una società disarmante, capace di accogliere e riconciliarsi con la propria umanità».
Fame di senso. Poi uno sguardo più personale che racconta la capacità mostrata dai giovani di passare dalla festa alla riflessione: «Giovedì, in piazza San Pietro, li ho visti capaci di passare dalla festa alla riflessione, fino alla confessione. Sapevano collocarsi. Intuivano quando era il momento di gioire, quando quello di tacere. È una gioventù che desidera esserci, che ha fame di senso, che vuole rispondere alla vita. Roma, in questi giorni, è stata attraversata da questa umanità in cammino. Pellegrini stanchi, ma con il sorriso. Volti che portavano con sé l’altro, e l’Altro. Donne e uomini in cerca di Dio. È stata un’iniezione di speranza, un bene prezioso per la nostra città».
«Avete scelto di esserci con discrezione, fermezza e cura; avete saputo custodire il cammino spirituale dei ragazzi e li avete aiutati a sentirsi parte di qualcosa di più grande. Li avete chiamati per nome, li avete sfidati, li avete accompagnati a essere comunità». Così il segretario della Cei, mons. Giuseppe Baturi, ha ringraziato gli accompagnatori dei ragazzi nei rispettivi Giubilei.