Lampedusa, silenzio e dolore dopo il naufragio. Suor Cristina Tibaldo: “Facciamo la nostra parte come il colibrì”
“Ho visto la bara di un bimbo piccolo... Il mondo è malato”. Le parole al Sir di suor Cristina Tibaldo raccontano la tragedia del naufragio avvenuto ieri a 14 miglia da Lampedusa: 25 morti accertati, tra cui una neonata e tre adolescenti, e almeno 10 dispersi. Le cinque religiose di diverse nazionalità e congregazioni del progetto Uisg "Migranti in Sicilia", presenti stabilmente sull’isola, accolgono i superstiti con piccoli gesti di umanità. Anche oggi sono al molo Favarolo
Un peschereccio con a bordo 400 migranti circa attracca al molo commerciale di Lampedusa dopo che nel pomeriggio è avvenuto un naufragio con otto dispersi e la morte di una bimba, Lampedusa, Italia, 20 novembre 2023. Ad agganciarlo e scortarlo, garantendo la sicurezza di tutte le persone a bordo, sono state le unità di soccorso della Guardia costiera. In questo momento sta per iniziare lo sbarco di donne, bambini ed uomini che saranno poi trasferiti all'hotspot. Salgono così ad 11, per un totale di oltre 800 persone, gli sbarchi di oggi sulla maggiore delle isole Pelagie.
ANSA / ELIO DESIDERIO
“Ieri ho visto la bara di un bimbo piccolo, ma non so se fosse il bimbo di un anno e mezzo o più piccolo. Sicuramente in tanti hanno perso la vita, erano sul molo. E tanti ancora sono purtroppo nel mare. Il mondo è malato, il mondo è malato…”. Il suo racconto e le brevi parole di commento dicono tutto di quanto sta vivendo di nuovo in queste ore a Lampedusa suor Cristina Tibaldo, vicentina, della Casa della Carità. È tra le cinque suore di diverse congregazioni che attualmente vivono a Lampedusa e fanno parte del progetto della Uisg (Unione italiana superiore generali) per accogliere i migranti durante gli sbarchi al molo Favarolo. Ieri non sono riuscite ad entrare al molo perché la polizia scientifica stava lavorando accanto ai cadaveri recuperati in mare dopo il naufragio di due imbarcazioni a 14 miglia da Lampedusa. Al momento, secondo l’Unicef, ci sono 25 morti accertati tra cui una neonata. Si cercano ancora almeno una decina di dispersi ma le operazioni di soccorso sono complesse. Tra le vittime ci sono anche una neonata e tre adolescenti: i 60 superstiti (tra cui 21 minori), sono stati accolti nell’hotspot di Contrada Imbriacola gestito dalla Croce rossa. Due uomini in gravi condizioni sono stati trasferiti in elisoccorso all’ospedale di Agrigento. Stamattina le suore erano di nuovo al molo per accogliere altri 156 migranti sbarcati dopo il soccorso di 3 imbarcazioni durante la notte. In mattinata sono state avvistate altre due barche con un totale di 50 persone. Anche oggi a Lampedusa la giornata si presenta impegnativa.
“Dopo i naufragi tanto silenzio e dolore”. “Ci si accorge subito quando al molo ci sono cadaveri di un naufragio perché c’è molto più silenzio. Appena si arriva si avverte qualcosa di diverso. A volte i sopravvissuti raccontano qualcosa molto brevemente.
In questi giorni nessuno parlava perché c’era troppo dolore tra la gente”,
racconta suor Cristina al Sir. È a Lampedusa da un mese e mezzo e rimarrà nel progetto altri tre anni. L’anno scorso era già stata due mesi. Insieme a lei, in questo periodo, ci sono suor Colette, belga, delle Piccole Sorelle di Charles de Foucauld; suor Rufina, indiana, della Congregazione della Santa Croce; suor Angela, calabrese, delle Dorotee e suor Maria, romena, della Congregazione della Provvidenza. La responsabile del progetto “Migranti in Sicilia” è suor Antonietta Papa, della Congregazione Figlie di Maria Missionaria, che visita Lampedusa una volta al mese. Il numero della religiose varia a seconda dei periodi.
“Viviamo qui aspettando che ci chiamino per gli sbarchi”. Le suore, come i volontari della parrocchia San Gerlando, di Mediterranean hope e delle altre organizzazioni umanitarie presenti nell’isola, ricevono sul telefonino messaggi dalle autorità portuali che informano sugli orari precisi di arrivo, con il numero di persone salvate:
“Viviamo qui aspettando che ci chiamino per gli sbarchi.
Da parte nostra c’è una grande ammirazione per questa ottima organizzazione. Funziona tutto molto bene, anche all’hotspot. Se ognuno fa la sua parte le cose vanno molto meglio”. “Ogni sbarco è a sé. Anche oggi sono arrivati molto stanchi – precisa la religiosa -. A volte portiamo il tè. A volte le donne chiedono di andare in bagno. A volte i trasferimenti sono molto veloci. Arrivano, si siedono un po’ sulla panchina e poi ripartono. A volte si fermano un po’ di più perché bisogna aspettare i pulmini della Croce Rossa e abbiamo più tempo per parlare con loro. Adesso è molto caldo quindi distribuiamo ciabatte infradito e diamo il benvenuto”. Giorni fa una volontaria le ha confidato un disagio: “Mi sento un po’ falsa a dire benvenuti perché so che adesso per loro comincia un’altra tribolazione”. Suor Cristina le ha risposto: “Importante è che tu senta che nel tuo cuore sono benvenuti”.
“Come un colibrì che cerca di spegnere un incendio”. La metafora che usa per descrivere la missione intercongregazionale sull’isola è il famoso racconto del colibrì che cerca di spegnere l’incendio della foresta in fiamme portando l’acqua con il suo piccolo becco. Gli altri lo scherniscono dicendo che è ridicolo ed inutile. “Lui risponde: faccio la mia parte. Io mi sento proprio così – spiega suor Tibaldo -. È una cosa piccolissima: diciamo solo ben arrivati, diamo loro qualcosa da bere…
Ma se ognuno fa la sua parte tutto funziona meglio”.
Così ogni mattina suor Cristina, insieme alle altre consorelle, parte “leggera per andare incontro a questi fratelli”. Nonostante i diversi carismi “cerchiamo di impastarci insieme – conclude -. È una bella esperienza”.