“Razionalizzare sia le risorse umane che quelle economiche, accentrare i servizi burocratici e amministrativi, approntare pianificazioni organiche degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture”. Lo ha ribadito don Albino Dell’Eva, parroco in 12 parrocchie in Val di Fiemme, nella diocesi di Trento, intervenuto a Benevento nel corso dell’Incontro dei vescovi delle aree interne. Un programma virtuoso che non dimentica la necessaria ricaduta di questo processa sulla pastorale e “i cui frutti – aggiunge il sacerdote – sono già evidenti: nuovi catechisti e ministri straordinari dell’Eucaristia, ma anche lettori, sacristi, operatori della Caritas, etc. Gente che se pur impegnata nella propria comunità decide di camminare insieme ad altri, di formarsi insieme, di programmare e coordinarsi insieme in un’unica azione pastorale”.
Le realtà amministrate pastoralmente da don Albino non possono definirsi aree interne. Parliamo di un territorio di montagna, dove l’industria turistica rappresenta ancora una leva decisiva per sostenere motivazioni al rimanere in loco, a non abbandonare la propria terra “per assicurare su tutti i territori – sottolinea don Albino – i servizi essenziali alle persone”. I risultati al momento sono buoni. Le parrocchie guidate dal sacerdote trentino, infatti, non soffrono, tranne due, di problemi di spopolamento.
“Possiamo definirci aree interne rispetto al centro della diocesi – spiega -, in particolare per quanto riguarda l’approvvigionamento di alcuni servizi sempre più strategici come ad esempio la formazione e l’aggiornamento degli operatori pastorali. Prima ancora dei beni materiali – prosegue -, si mettono in comune i beni delle fede e della carità, che in questo si traduce in una forma di servizio, in modo che a nessuna comunità manchi il necessario per l’animazione della vita cristiana”.
L’unità pastorale, infatti è la prima e più importante forma di unificazione, una prima e significativa risposta alle emergenze del territorio “perché in grado di intercettare i bisogni sia delle comunità che dei suoi pastori. “Inoltre – afferma don Albino – considerato il numero esiguo di parroci, andiamo incontro all’avvento di una figura molto lontana da quella a cui siamo stati abituati da decenni e cioè quella di una parrocchia e di un parroco in grado di svolgere praticamente tutte le mansioni richieste dalla vita della comunità”. Una situazione questa “che inevitabilmente – sottolinea il sacerdote – chiama in causa la questione relativa alle nuove responsabilità che i battezzati laici, nel loro insieme, dovranno e potranno assumere in termini di responsabilità pastorale e ministerialità nella futura configurazione e articolazione della Chiesa sul territorio”. Un tema col quale don Albino si è già confrontato e che, in una lettera scritta e inviata alle sue comunità, ha condiviso con tutti i suoi parrocchiani.
“La riduzione del numero delle parrocchie – scriveva don Albino – rappresenta una delle possibili risposte alle sfide dell’inedita situazione in cui si trovano da una parte i parroci, con carichi sempre più gravosi di lavoro e dall’altra le parrocchie, con una presenza sempre più diluita e sporadica del loro pastore”.
L’esperienza di don Albino insegna poi che “non c’è vera unità pastorale, finché non c’è anche quella economica e amministrativa. E non solo – aggiunge – perché il Vangelo e gli Atti degli Apostoli ci indicano questa come la strada da percorrere, ma anche perché la proprietà divide profondamente i cuori: ho visto le mie undici comunità ben disposte a darsi una mano sotto l’aspetto pastorale, meno e con maggiore resistenza a farlo sul piano economico e finanziario”.
L’aspetto economico resta centrale tanto che spesso, nell’accorpamento, si arriva a sostenere che cedere la proprietà di beni mobili ed immobili contribuisce ulteriormente a far perdere il senso di comunità e di appartenenza, a smarrire l’identità comunitaria, “come se – ribadisce don Albino – a definirci comunità sia ciò che possediamo in termini materiali e non tanto la nostra forma di vita evangelica, che viceversa può essere contraddetta proprio dall’egoismo comunitario e/o paesano”.
Il dato di fatto è che comunque, nella Val di Fiemme, ci sono parrocchie in grado di “sostenersi da sole, altre viceversa, da questo punto di vista, sono a rischio default. Ecco perché – conclude don Albino – mettere in comune i beni materiali di ciascuna delle comunità parrocchiali, mediante la fusione in un’unica proprietà, permette a tutti di camminare senza affanni. In questo modo il forte sostiene il debole e il patrimonio personale non solo non va perduto, ma diventa comune. Non rimane diviso, ma viene con-diviso”.