Mosaico
Le fake news scientifiche sono ormai ovunque: dai post sui social alle catene su WhatsApp. Non si tratta solo di voci innocue, ma spesso di messaggi ben costruiti, che usano linguaggio tecnico, “esperti” inventati e presunti studi per sembrare credibili. L’obiettivo? Convincere, confondere, talvolta perfino vendere prodotti miracolosi.
Un esempio recente è stato raccontato dal professor Franco Berrino, epidemiologo: la sua immagine è stata usata in video promozionali per integratori che non ha mai consigliato. «Sono fake», ha precisato lo stesso Berrino. Episodi così mostrano quanto sia urgente sviluppare strumenti per distinguere notizie attendibili da quelle fasulle.
E allora, perché non coinvolgere anche progetti scolastici dedicati? A lavorarci è stato Carlo Martini, docente di Logica e Filosofia della Scienza all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Con il suo team ha coinvolto oltre 2.200 studenti delle superiori in Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna, tra gennaio e maggio 2023. Il risultato è diventato un report dal titolo “Disinformazione a scuola”.
L’idea era semplice ma ambiziosa: trasformare i ragazzi in “cittadini attivi della ricerca”, offrendo loro strumenti per muoversi con spirito critico nell’ambiente digitale che frequentano ogni giorno.
Per cominciare, i ricercatori hanno ricreato una sorta di “ecosistema social” e chiesto agli studenti di osservare e giudicare notizie prese dal web. I dati raccolti sono significativi: 1 adolescente su 3 non riesce a distinguere una notizia scientificamente fondata da una falsa. In generale, la capacità di valutazione c’è, ma non è sufficiente. Interessante anche la differenza di genere: le ragazze tendono a sottovalutare le proprie competenze critiche rispetto ai coetanei maschi, un fenomeno noto come “confidence gap”.
Per la simulazione sono state usate notizie come quella — famosa — della “cioccolata che fa dimagrire”, con tanto di “articoli scientifici” a sostegno. Nonostante l’inganno fosse evidente agli occhi di un esperto, molti studenti hanno faticato a smascherarlo.
Esistono però varie strategie concrete per difendersi, come ad esempio la “lettura laterale” (aprire altre schede nel browser e verificare la fonte della notizia), la “motivazione attiva” (che invita a non fermarsi alla prima reazione emotiva ma a mantenere attenzione critica), la “verifica incrociata” (cercare la stessa notizia su più fonti indipendenti).
Dal progetto principale è nato un percorso didattico chiamato “Segnala(bufa)la!”, dove gli studenti analizzano notizie vere e false, discutendo insieme le strategie usate per verificarle. Molti hanno dimostrato di saper ricorrere spontaneamente al confronto tra più fonti, un segnale incoraggiante.
In parallelo è partito anche MEETme\@School, che porterà attività simili già nelle scuole primarie, per avviare l’educazione al pensiero critico fin da piccoli.
Viviamo in un ambiente informativo inquinato, in cui distinguere il vero dal falso è sempre più complicato. Sapere riconoscere i trucchi della disinformazione — dai falsi esperti alle teorie del complotto — non serve solo a non cadere nelle trappole online: significa anche proteggere la fiducia nella scienza, fondamentale per prendere decisioni consapevoli come cittadini.
Il messaggio che arriva da questo progetto, dunque, è chiaro: l’educazione scientifica e digitale deve andare di pari passo. Non basta “sapere le cose”, bisogna anche saper valutare le fonti. Solo così i giovani potranno diventare protagonisti attivi dell’informazione e difendersi dalle bufale che circolano in rete.