Idee
Premessa: di fronte al suicidio di un ragazzo di 14 anni la prima reazione è lo sgomento. Non ci sono parole, spiegazioni capaci di definire una tragedia simile, perché è come se la vita – e un quattordicenne è l’espressione piena della vita che sta esplodendo – negasse se stessa. Perché? Come?
Le domande tuttavia sono legittime e lo sono anzitutto quelle dei genitori, di chi quella vita giovane stava accudendo con cura e amore, come un tesoro prezioso che tuttavia non si può preservare – lo sanno bene tutti i genitori – come in teca protetta, intoccabile dal male.
Nel caso di Paolo, il quattordicenne di cui parliamo, il male sembra essere stato il bullismo dei suoi stessi compagni. Forse lo scontro tra la sua personalità, descritta come sensibile, educata, “tenera” con una realtà quotidiana fatta di durezze e angherie. Con la scuola come teatro prevalente di questo scontro.
Paolo frequentava l’Istituto Tecnico e avrebbe dovuto iniziare il secondo anno il giorno dopo la sua morte. L’11 settembre 2025, proprio poche ore prima del rientro a scuola, si è tolto la vita impiccandosi nella sua cameretta con la cordicella di una trottola.
La famiglia ha puntato il dito sul bullismo subito da anni: insulti, prese in giro, aggressioni fisiche e umiliazioni. Hanno raccontato che lo chiamavano “Paoletta”, “femminuccia”, “Nino D’Angelo” per i suoi capelli lunghi e biondi. Veniva deriso per la sua gentilezza, per il modo in cui difendeva i compagni più deboli, per il suo aspetto e le sue abitudini.
I ragazzi – non è una scoperta – sono spesso tra loro implacabili, duri. E la scuola? Gli insegnanti? I genitori raccontano di aver denunciato più volte alla scuola le vessazioni subite, ma secondo loro le segnalazioni sono rimaste inascoltate. La preside dell’istituto peraltro ha negato di aver ricevuto denunce formali, sostenendo che Paolo frequentava lo sportello psicologico senza che emergessero criticità gravi. Tuttavia le accuse della famiglia sono insistenti, e il ministro Giuseppe Valditara ha avviato ispezioni nelle scuole frequentate dal ragazzo. La questione del bullismo – e del cyberbullismo – è sotto la lente da tempo.
La Procura di Cassino ha aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio e ha disposto il sequestro dei dispositivi elettronici di Paolo e di alcuni compagni, per verificare eventuali episodi che possano fare luce sulla tragedia.
L’opinione pubblica si è interessata molto alla vicenda di Paolo e certamente è un bene: non si può accettare con indifferenza un fatto così tragico e soprattutto non si può girare la testa dall’altra parte quando si chiamano in causa le responsabilità di chi dovrebbe avere a cuore la crescita e l’educazione.
Scuola, famiglia, istituzioni si interrogano. E non è la prima volta, purtroppo, che sono costrette a farlo di fronte a una tragedia, a una morte. Una volta di più è necessario riflettere e operare di conseguenza. Seguire le direttive che già ci sono, potenziare le azioni educative, rendere più avvertiti gli operatori, promuovere sensibilità ed empatia. Per proteggere i più piccoli, le vittime e anche gli stessi bulli, i quali – senza voler diminuire la gravità delle loro azioni e le responsabilità – risultano spesso ingranaggi poco consapevoli di una macchina crudele e insensata.