Settembre 2020, via WhatsApp, mi arrivò il messaggio di una donna con una figlia piccola, a pochi giorni dall’inizio della scuola, le amministrazioni comunali non erano in grado di garantire i servizi causa Covid: «Il guaio è che io devo lavorare». Un grido di aiuto, in un Paese in cui solo nel 2020 furono persi 440 mila posti di lavoro, il 98 per cento dei quali apparteneva a una donna. Nelle grandi dimissioni volontarie, sempre nel 2020, il 77 per cento dei casi fu dimissioni di madri (Relazione annuale 2021 Ispettorato Nazionale del lavoro): il lavoro era diventato un ostacolo insormontabile nella vita. Numeri che sembrano sterili, ma dietro ogni percentuale ci sono la vita e la dignità della persona, in un’Italia in cui l’art. 1 della Costituzione coniuga la democrazia con il lavoro.
Il rapporto Cnel-Istat di marzo 2025 evidenzia una situazione che ormai da decenni è praticamente identica e mostra una fotografia sconfortante del nostro Paese. Nel terzo trimestre 2024 il tasso di occupazione femminile risulta inferiore di 12,6 punti alla media Ue, rimanendo il valore più basso tra i 27 Paesi dell’Unione e molto distante dalla maggior parte di essi, con situazioni molto diversificate tra Nord, Centro e Sud, e tra le zone interne e le grandi città. Il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni si attesta, nel 2023, al 52,5 per cento per le donne e al 70,4 per cento per gli uomini, con un divario di quasi 18 punti percentuali. Le madri hanno un tasso di occupazione decisamente più basso rispetto alle single: il carico familiare rappresenta per molte donne motivo di rinuncia all’attività lavorativa. Paradossalmente il tasso di occupazione di uomini senza figli è pari al 77,8 per cento, ma se hanno almeno un figlio minore sale al 91,9 e con due o più figli minori al 91,8 per cento, mentre quello delle donne senza figli è pari al 68,9 per cento, con almeno un figlio minore è pari al 63,1 e con due o più figli minori al 60,6, ben 30 punti di differenza rispetto agli uomini (fonte: Elaborazioni Istat per Save the Children 2025 – dati 2024).
I figli consolidano il padre nel ruolo di colui che mantiene la famiglia, mentre la madre resta a casa: il ruolo di caregiver è della donna. Se la donna invece lavora, spesso ricorre al tempo parziale per conciliare i tempi vita-lavoro, portando all’effetto della child penality, una penalizzazione sul reddito delle donne che avviene a causa del part-time o del congedo parentale retribuito solo in parte. Un fenomeno che i padri non subiscono.
Gli stipendi femminili restano più bassi di quelli maschili del 15 per cento e la pensione (Rapporto Inps 2025) segue questa percentuale. Il reddito netto medio di un monogenitore maschio con almeno un figlio minore è di 35.383 euro all’anno, quello di un monogenitore femmina di 26.822 euro annuali (elaborazioni Istat per Save the Children 2020).
Il tema del lavoro è centrale nell’agenda politica delle Acli. Ma non sempre viene sufficientemente approfondito pensando all’assenza delle donne nel mondo del lavoro. Spesso le donne sono invisibili nel lavoro come nei vertici delle organizzazioni e di molte associazioni, nelle posizioni apicali negli enti pubblici, nelle imprese. Siamo assenti nei convegni in cui si parla di lavoro ma anche nei tavoli di discussione politica sulle tematiche che impattano sulla nostra vita. Improvvisamente diventiamo protagoniste degli approfondimenti governativi quando esce dal cilindro l’argomento della demografia, in un Paese dove nel 2024 il tasso di fecondità per donna è risultato essere di 1,18 figli, il minimo storico. L’Italia non è un paese per donne, e vorrebbe diventare un Paese per madri, per poter avere quel ricambio generazionale fondamentale per fermare il declino in termini di futuro del Paese stesso.
Di questi temi si parlerà in maniera approfondita durante gli “Stati generali del lavoro femminile”, due giorni di riflessioni e di workshop, che si terranno a Padova il 14 e il 15 novembre, organizzati dalle Acli provinciali e dal Coordinamento donne.
A noi, donne e uomini delle Acli, spetta il fondamentale compito di conoscere questi dati, di “vederli” e di sviluppare proposte per ridurre il gap di genere nell’accesso al lavoro, che ci porterà a una parità di contribuzione fra 134 anni (rapporto Global gender gap 2024).
A noi spetta il compito di portare a compimento quello che Teresa Mattei, la più giovane delle Madri costituenti, disse durante i lavori dell’assemblea per la stesura della Costituzione, art. 3, quando volle aggiungere quel «di fatto»: «Noi non vogliamo che le nostre donne si mascolinizzino, noi non vogliamo che le donne italiane aspirino a un’assurda identità con l’uomo; vogliamo semplicemente che esse abbiano la possibilità di espandere tutte le loro forze, tutte le loro energie, tutta la loro volontà di bene nella ricostruzione democratica del nostro Paese. Nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile; e per emancipazione noi non intendiamo già solamente togliere barriere al libero sviluppo di singole personalità femminili, ma intendiamo un effettivo progresso e una concreta liberazione per tutte le masse femminili e non solamente nel campo giuridico, ma non meno ancora nella vita economica, sociale e politica del Paese».