La recente Esortazione Apostolica di Papa Leone XIV, Dilexi te sull’amore verso i poveri è uno sprone anche per tutte le famiglie cristiane a non perdere di vista l’opzione preferenziale per i poveri che deriva dal Vangelo. Il testo richiama con forza come non si dia amore per Gesù Cristo senza amore per i poveri che sono il suo volto e il suo corpo nella storia. Il richiamo del pontefice va a scandagliare tutte le occasioni in cui il popolo di Dio nella storia della Chiesa è stato invitato ad avere uno sguardo di predilezione per i poveri e come sia necessario superare quei pregiudizi che ci fanno credere che i poveri siano un frutto ineluttabile del destino o addirittura siano essi stessi causa della loro condizione. Quella che si deve superare è la logica che dà per scontata l’esistenza dei poveri fino al punto di non sentirne più il grido di ingiustizia. I poveri devono scomodarci e soprattutto ci invitano a cambiare mentalità riguardo alla nostra condizione di benessere come se fosse meritata. In realtà siamo chiamati a vivere diversamente da quanto la società ci indurrebbe a fare e a considerare la possibilità di contrastare la povertà con il nostro stile di vita e la nostra solidarietà nei confronti di chi ha meno di noi. Si tratta di sentirsi corresponsabili nel tentativo di abbattere le strutture di peccato che provocano squilibri sociali e indigenza fra le popolazioni del mondo. Seguendo una logica di peccato “diventa normale ignorare i poveri e vivere come se non esistessero” (DT 93), mentre da parte nostra va sottolineato il bisogno di riconoscerci sempre debitori di attenzioni e premure nei confronti dei poveri che incontriamo sulla nostra strada. È compito di tutti i membri del Popolo di Dio far sentire, pur in modi diversi, una voce che svegli, che denunci, che si esponga anche a costo di sembrare degli “stupidi”. (DT 97). Dobbiamo sentire forte la responsabilità nei confronti dei poveri i quali vanno prima di tutto ascoltati e le famiglie cristiane sono chiamate a farsi prossime dei poveri, anzitutto facendo come un esame di coscienza sul loro stile e tenore di vita; quindi riconoscendo i poveri più prossimi, come le tante persone povere di relazioni e che soffrono la solitudine; poi educandosi per far crescere nei figli una cultura che riconosca quanto tutti dobbiamo fare la nostra parte perché fratelli di ogni uomo. Il cristiano non può considerare i poveri solo come un problema sociale: essi sono una “questione familiare”. Sono “dei nostri”. (DT 104). Sull’esempio del buon Samaritano siamo tutti chiamati a farci prossimo del povero perché Gesù ci chiede di comportarci come lui. Le parole finali della parabola evangelica – “Va’ e anche tu fa’ così” (Lc 10,37) – sono un comando che un cristiano deve sentire risuonare ogni giorno nel suo cuore. (DT 107). Anche il gesto dell’elemosina assume un valore che non va mai trascurato perché è a partire dai piccoli gesti che si inverte la cultura dell’indifferenza e dello scarto. L’elemosina rimane un momento necessario di contatto, di incontro e di immedesimazione nella condizione altrui. (DT 115). L’invito è a non fermarsi a livello delle discussioni e dei dibattiti sulla povertà, ma a contrastarla con gesti concreti della nostra quotidianità affiancando l’elemosina alla preghiera. Sarebbe un segno mettere in famiglia un salvadanaio dove ciascuno mette il suo piccolo contributo di elemosina per i poveri, frutto di qualche piccola o grande rinuncia. Le famiglie possono farsi carico dei poveri venendo incontro alle loro necessità e sposando la loro causa con convinzione sapendo che non si può lasciare alle sole istituzioni l’onere di risolvere il problema della povertà. Stare dalla parte dei poveri sempre e comunque è il modo di essere Chiesa voluto dal Signore e comporta un’attenzione e una sollecitudine costante nel tempo e concreta nei fatti, certi che Cristo è sempre nel povero sofferente che aspetta il nostro aiuto.