Il 15 ottobre sono stati presentati i risultati, relativi anche all’Italia, dell’indagine internazionale 2024 dell’Ocse (Organizzazione di 38 Paesi per la cooperazione e lo sviluppo economico) denominata Talis, acronimo di Teaching and Learning International Survey (Osservatorio internazionale sull’insegnamento e sull’apprendimento). La ricerca, giunta alla quarta edizione, ha coinvolto 280 mila docenti in 17 mila scuole dando voce a insegnanti e dirigenti scolastici. L’Italia ha partecipato con un campione di 200 scuole secondarie di primo grado.
Scopo principale di questa ricerca è raccogliere elementi utili per promuovere e definire politiche più attente a quanti nella scuola ogni giorno si interfacciano con le nuove generazioni.
La maggior parte degli insegnanti – si legge nell’indagine – è contenta della professione scelta: oltre il 90% degli intervistati si dichiara motivato e soddisfatto del proprio lavoro ma il 23% ritiene del tutto inadeguato il riconoscimento economico.
Accanto al dato della soddisfazione c’è quello dello stress legato sia al lavoro in classe che fuori: il 56% afferma di avere un eccessivo carico di lavoro, il 48% afferma che è faticoso affrontare le problematiche poste dai genitori. Si tratta di fatiche che incidono sulla salute di quanti insegnano e come tali sono chiamati ad essere sempre in forma, dinamici e sul pezzo.
In questo contesto si aggiunge un altro elemento di riflessione e anche di preoccupazione: l’irruzione nella scuola del digitale, intelligenza artificiale compresa. Novità importanti e a volte inquietanti per una professione che intende tenere viva una proposta educativa “autenticamente umana”.
Giovanni Scarafile, docente di filosofia all’Università di Pisa. nelle prime pagine del libro “Il ventriloquo. Etica dell’insegnante al tempo dell’algoritmo” scrive che “nel cuore dell’atto educativo c’è sempre un residuo di mistero, un nucleo di umanità che nessun algoritmo nessun modello di efficienza potrà mai esaurire. È lì che nasce la possibilità di un insegnamento vivo, capace di trasformare, capace di aprire spazi inattesi”.
L’immagine del ventriloquo è per raffigurare colui che viene costretto dalla macchina a usare parole non sue subendo una limitazione che lo impoverisce e che rende senz’anima la scuola.
L’ algoritmo è una sfida: non è facile educare alla lentezza e alla bellezza del pensare in un processo tecnologico sofisticato e veloce come è quello digitale.
Non è facile tenere in dialogo la macchina con l’uomo per evitare che la prima annulli il secondo. C’è un passo avanti da compiere ogni giorno. Ecco perché il dignitoso riconoscimento economico di un impegno professionale come quello dell’insegnante non è una rivendicazione, peraltro legittima, ma è la richiesta alla società e alla politica di un riconoscimento valoriale di una professione intellettuale. Non si tratta di piegare la richiesta alla busta paga ma è chiedere alla società e alla politica di conoscere e condividere il lavoro di chi ogni giorno entra in aula con la volontà di contribuire alla formazione di persone libere, pensanti, competenti e responsabili. Avvalendosi delle tecnologie digitali ma senza arrendersi alla loro sottile arroganza.