Fatti
“L’accordo che ha riportato in patria tutti gli ostaggi ancora in vita e ha di fatto posto fine alla guerra non sarebbe stato possibile senza la pressione esercitata su Hamas da Israele, senza la leadership e l’impegno del presidente Donald Trump. Ed è stato reso possibile anche dalle forti preghiere e gesti di unità di Papa Francesco e di Papa Leone XIV. Entrambi hanno costantemente chiesto e lavorato attivamente per il rilascio degli ostaggi”. Lo ha ricordato l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Yaron Sideman, durante la commemorazione del 7 ottobre 2023, svoltasi ieri sera a Roma su iniziativa della stessa ambasciata. Nel suo intervento Sideman ha rievocato l’impegno di Papa Francesco che ha incontrato le famiglie degli ostaggi in tre diverse occasioni, arrivando, durante l’Angelus del 15 settembre 2024, a menzionare Hersh Goldberg-Polin, trovato morto in settembre, insieme ad altri cinque ostaggi, a Gaza. “Mantenere viva la memoria di Hersh e degli altri ostaggi – ha sottolineato Sideman – è stato un gesto immensamente importante e potente, perché così facendo Papa Francesco ha dato un nome e un volto a tutti gli ostaggi e ha contribuito a mantenere vivo il loro ricordo e l’impegno collettivo per la loro liberazione. Con il loro continuo sostegno al rilascio degli ostaggi, Papa Francesco e Leone hanno contribuito ad aprire la strada alla loro liberazione”. Un sostegno che non deve venire meno, ha aggiunto il rappresentante diplomatico, perché “attendiamo con ansia il ritorno dei restanti 13 ostaggi. Ora che la guerra è finita, dobbiamo concentrarci sulla pace e sulla riconciliazione con i nostri vicini, con noi stessi e all’interno della società israeliana. Il 7 ottobre, Israele ha subito un trauma collettivo che continua a vivere”. Sideman ha spiegato che, se da un lato, questo è “il momento di essere ottimisti e speranzosi” dall’altro “non è ancora il tempo di festeggiare, perché non abbiamo ancora raggiunto il traguardo. Innanzitutto, perché i corpi dei 13 ostaggi rimasti sono ancora trattenuti a Gaza e Israele non cederà finché tutti non saranno restituiti alle loro famiglie per una degna sepoltura. E in secondo luogo, perché dobbiamo ancora assistere alla piena attuazione della seconda fase dell’accordo, che prevede il completo disarmo di Hamas e la smilitarizzazione di Gaza”. In altre parole, occorre “garantire che Gaza non rappresenti mai più una minaccia per Israele. E non meno importante – per l’ambasciatore israeliano – è offrire un raggio di speranza e la possibilità di un futuro migliore alla popolazione di Gaza stessa, una volta liberata dal giogo del regime tirannico di Hamas”. Sideman ha infine esortato Israele a unirsi sempre più “come società e come popolo. Nonostante tutto ciò che ci separa, alla fine ci sentiamo connessi gli uni agli altri in modo autentico e profondo, come se fossimo tutti un unico tessuto umano vivente. E questa connessione è una grande fonte di forza” come testimoniato in questi due anni dalle centinaia di migliaia di persone scese in piazza per dimostrare la loro solidarietà e gioire insieme per il ritorno di ogni ostaggio. Ed “è questa unione – ha concluso – che ci spingerà fuori dall’abisso della tragedia del 7 ottobre verso un nuovo orizzonte e un futuro luminoso”.