Idee
“Purtroppo anche troppi adulti sono convinti che l’apprendimento dell’anatomia funzionale possa essere sufficiente per capire come vanno le cose. Ma non è così. Quello che manca ai nostri ragazzi è un percorso di senso”.
Lo scrive Luciano Moia su Avvenire, in un bell’intervento sul tema dell’educazione sessuale a scuola. E vale la pena di riprendere la riflessione perché tocca un nodo centrale dell’impegno educativo, in questo caso riferito al tema così delicato della sessualità e dello sviluppo integrale della persona, che non può fare a meno di misurarsi con le tematiche affettive le quali intrecciano certamente gli aspetti legati a biologia e anatomia, ma insieme quelli psicologici e identitari.
La discussione parte dall’emendamento recentemente approvato in Commissione Cultura alla Camera al testo del disegno di legge Valditara sul consenso informato per attività scolastiche, emendamento che aggiunge il divieto di educazione sessuale fino alle medie. In buona sostanza si prevede che le attività didattiche che trattano affettività, sessualità, identità di genere o relazioni siano escluse dalla scuola dell’infanzia e primaria. Per quanto riguarda poi le superiori subentra la norma del consenso informato: i genitori dovranno autorizzare esplicitamente la partecipazione dei figli a eventuali corsi o attività sull’educazione sessuale.
Inoltre, il Ministero ha spiegato che non verranno affrontate tematiche legate alle identità di genere diverse da maschile e femminile prima dell’adolescenza e che alle medie e superiori si potrà parlare di riproduzione, pubertà, malattie sessualmente trasmissibili, ma non di relazioni, emozioni o orientamento sessuale.
Riassume bene ancora Luciano Moia: l’emendamento “ha cancellato l’educazione all’affettività e alla sessualità fino alle superiori, dove si potranno introdurre esperti ‘esterni’ ma solo con il consenso dei genitori che saranno chiamati a verificare temi e materiale didattico”.
Ora, nelle intenzioni del Ministro tutto questo dovrebbe tutelare proprio i bambini e i ragazzi, evitando loro soprattutto la “confusione”, in particolare in relazione alle tesi legate alle identità di genere. In un’intervista Valditara ha spiegato che la presenza di educazione sessuale nei programmi scolastici è garantita dalle nuove Indicazioni nazionali, con un approccio che predilige la dimensione “biologica”, ovvero lo studio delle differenze tra maschio e femmina, della riproduzione e della prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili.
E qui torna il tema del “senso”, da cui siamo partiti. Mettendo da parte la considerazione sulla povertà educativa delle famiglie, soprattutto in rapporto ai temi della sessualità – si fa fatica a parlarne – e quella sulla pervasività delle informazioni erotiche a disposizione anche si più piccoli sul web, la questione decisiva resta la distinzione tra “ginnastica” e progettualità, tra anatomia e – usando un termine forte – spiritualità.
Educare è anzitutto promuovere consapevolezza, coscienza di sé, ben oltre la descrizione dei corpi. Non si tratta di restituire l’immagine allo specchio (come siamo fatti), ma di lasciar intravedere il “mistero” della persona. Su questo occorre una riflessione in più, un “passo avanti”, come suggerisce Avvenire. E come tanta parte della scuola ben sa da tempo, e per questo cerca di attrezzarsi. Forse per tentativi, talvolta anche non ben riusciti, ma correre il rischio di fermare tutto non è una buona idea.