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“Donne in viaggio con le parole”, è stato il tema dell’incontro svoltosi a Subiaco lo scorso 1° novembre, protagonista Dacia Maraini, tra le voci più importanti della narrativa italiana contemporanea. Un appuntamento che fa parte della rassegna “Viaggiare è vivere”, promossa da Fondamenta – Fondazione per le arti e la cultura – con il sostegno del Ministero della Cultura e del Comune locale, nell’ambito del programma “Subiaco Capitale italiana del libro 2025”. Maraini ha dialogato con lo scrittore Paolo Di Paolo, proponendo una riflessione sul viaggio come scoperta di sé, incontro con l’altro e come forma di conoscenza. A margine dell’incontro il Sir ha incontrato la scrittrice.
Oggi l’immagine sembra dominare sulla parola e la velocità sostituire la profondità: quale pensa sia, allora, il compito dello scrittore, oggi? Crede che la letteratura possa ancora offrire uno sguardo alternativo, capace di restituire senso alla realtà?
Penso di sì. Anzi, proprio in questo momento – come dice lei – di fretta, di velocità, di concisione e di frammentazione, il pensiero ha bisogno della calma e della riflessione che può dare un libro. Il libro lo può offrire, mentre i social no.
Molti dei suoi romanzi hanno contribuito a cambiare lo sguardo sulla donna e sulla sua rappresentazione sociale. Alla luce della cronaca attuale, pensa che la letteratura abbia ancora la forza di incidere sulla cultura del rispetto?
Ce lo vorrebbe avere, ma si legge sempre di meno. Bisognerebbe lavorare sulla scuola, partire dai bambini piccoli, insegnare il rispetto dell’altro, la sacralità dell’essere umano, un linguaggio fondato sul confronto e sulle idee, non sull’insulto. Purtroppo, oggi, la tendenza va nella direzione opposta. Tuttavia, la scrittura può dare delle indicazioni, può servire: non può risolvere tutto, ma qualche segnale lo può dare.
La memoria è una delle presenze più costanti e vibranti della sua scrittura. In un tempo in cui la storia viene piegata o dimenticata, perché ritiene così urgente ricordare? E quale ruolo può avere la memoria, anche quando è scomoda e dolorosa?
La memoria è fondamentale. Non si costruisce il futuro senza memoria. Però la cultura del consumo non vuole, non ama la memoria: per consumare bisogna non avere memoria, restare nel presente affidandosi a chi cavalca il presente. Cercare di conoscere da dove veniamo è importante. Se vogliamo costruire il futuro dobbiamo conoscere il passato. La cultura nella quale viviamo, invece, mi sembra quasi abbia paura del passato.
Lei è stata testimone di stagioni decisive della storia italiana: la guerra, il dopoguerra, i movimenti femministi, l’impegno politico e culturale. Guardando all’Italia e all’Europa di oggi, attraversate da guerre, disuguaglianze, tensioni e smarrimento morale, come legge questa nostra epoca?
È un momento di crisi, ma anche di passaggio. Stiamo transitando da un’epoca ancora legata ai valori del mondo contadino e anche preindustriale a un’epoca tecnologica che cambia tutto. Bisogna ricreare dei valori collettivi che oggi mancano, proprio perché siamo in questa fase di transizione.
L’intelligenza artificiale è una delle frontiere più discusse di questo cambiamento e di questa fase di transizione. Che ruolo può giocare, secondo lei?
Può essere sia negativo che positivo. È uno strumento, e come tutti gli strumenti può essere usato bene o male. Pensiamo all’energia atomica: si possono costruire bombe o produrre energia per tutti.
Non sono contraria all’intelligenza artificiale, purché sia usata bene. Purtroppo, c’è chi la usa malissimo, e questo è pericolosissimo. Bisognerebbe mettere dei paletti, regole più severe, perché è un fatto democratico. Quindi sì all’intelligenza artificiale, ma con criterio.
C’è un personaggio dei suoi libri a cui si sente particolarmente legata o in cui si riconosce di più?
Sinceramente no. È sempre l’ultimo personaggio che mi prende e mi porta con sé. È difficile rispondere, perché una cosa è ciò che piace agli altri – i critici, il pubblico, i lettori – e un’altra ciò che vive dentro di me. I lettori hanno amato molto Marianna Ucrìa, questo è certo. Ma io vado avanti: ogni volta ci sono personaggi nuovi che mi prendono di più.
Cosa consiglierebbe a quei giovani che vogliono o sognano di intraprendere un percorso ‘culturale’ o di scrittura come il suo?
Direi di uscire dai social. Non totalmente, ma di usarli senza diventarne schiavi. Usarli quando servono, va bene, ma non si può pensare che tutta la nostra informazione venga da lì.