Fatti
In un momento di grande tensione e fragilità per la Terra Santa, abbiamo incontrato a Roma George Akroush, che dirige l’Ufficio Sviluppo del Patriarcato Latino di Gerusalemme. Il conflitto in corso, la crisi economica e l’instabilità politica hanno aggravato la vita quotidiana di molte famiglie, ma al tempo stesso hanno generato una rinnovata solidarietà e un impegno concreto della Chiesa a favore dei più vulnerabili. In questo contesto, il lavoro dell’Ufficio guidato da George Akroush, assume un’importanza cruciale. Attraverso interventi educativi, sanitari e sociali, il Patriarcato si fa strumento di pace, dignità e sviluppo per tutti, cristiani e non.
Il Patriarcato Latino di Gerusalemme continua a essere un punto di riferimento spirituale, sociale e umanitario per le comunità locali, ci spiega qual è il ruolo dell’Ufficio Sviluppo e quali sono le sue principali aree di intervento?
Mi occupo principalmente di tre cose. Prima di tutto, della pianificazione dei progetti di sviluppo e umanitari, ma anche dei servizi pastorali, perché il Patriarcato ha oltre 55 parrocchie e 43 scuole. Abbiamo la più grande rete di scuole in quattro Paesi: Palestina, Israele, Cipro e Giordania.
Oltre alle scuole, Akroush ricorda “un orfanotrofio, una casa di riposo e il Centro Nostra Signora della Pace ad Amman, una delle migliori organizzazioni per persone con disabilità, con sedi distaccate in tutta la Giordania”. “Mi occupo anche delle relazioni con i donatori – aggiunge –. Lavoriamo con i Cavalieri e le Dame del Santo Sepolcro e con molte luogotenenze in diversi Paesi, tra cui l’Italia. Inoltre, supervisiono l’attuazione dei progetti attraverso la nostra nuova Unità di Gestione dei Progetti, che segue tutto il processo, dal finanziamento alla rendicontazione».
La situazione a Gaza è terribile. Tutti conosciamo l’instancabile impegno di padre Romanelli e della sua piccola comunità nella parrocchia della Sacra Famiglia. Siete in contatto con lui?
Siamo in contatto quasi quotidiano con padre Romanelli, che sta facendo un lavoro eroico. La situazione a Gaza è terribile, il periodo peggiore per la popolazione. La comunità cristiana era già piccola prima della guerra, e ora quasi tutte le 172 famiglie hanno perso la propria casa. Solo dieci famiglie sanno ancora dove si trovano.
Dopo i bombardamenti, i cristiani si sono rifugiati nel complesso parrocchiale della Sacra Famiglia, nel centro di Gaza. “Siamo riusciti a fornire loro aiuti umanitari, cibo, medicinali, acqua e un po’ di elettricità grazie a un generatore, che funzionava per poche ore al giorno – dice Akroush -. Questo ha permesso loro di ricaricare i telefoni e restare in contatto con il mondo esterno, nonostante l’isolamento totale».
Anche dopo il cessate il fuoco, la situazione resta instabile: “Ci sono ancora scontri vicino al complesso. Nessuno sa cosa accadrà a Gaza. La posizione del Patriarcato Latino è chiara: non basta fermare la guerra, bisogna affrontare le cause profonde del conflitto. È la voce del Cardinal Pizzaballa, che chiede giustizia e pace durature, non accordi temporanei”.
Il Papa e la Santa Sede seguono da vicino la situazione. Anche Leone XIV, come già Papa Francesco, è in contatto con padre Romanelli. Gaza è parte della Terra Santa, è parte della fede biblica del nostro popolo. È il luogo dove la Sacra Famiglia passò nel suo viaggio verso l’Egitto. Non è un caso che il nostro convento si chiami “Convento della Sacra Famiglia”.
“La Chiesa cattolica a Gaza è stimata da tutti perché offre i suoi servizi a tutti, senza distinzione – prosegue –. Oltre il 99% dei beneficiari delle nostre scuole e dei nostri centri è musulmano. Seguiamo la dottrina sociale della Chiesa, servendo con cuore aperto”.
Il Patriarcato Latino lavora spesso in collaborazione con partner internazionali di tutto il mondo. Quanto è importante questo sostegno e in che modo si concretizza? In particolare può dirci qualcosa sulla collaborazione con la Chiesa italiana?
Un ringraziamento particolare va alla Chiesa italiana: dopo l’appello del cardinale Pizzaballa nel novembre 2023, la Cei, le diocesi e le organizzazioni cattoliche italiane sono state le prime a rispondere. Senza il loro aiuto, non avremmo potuto sostenere la popolazione durante la guerra. Solo nel novembre 2024 abbiamo distribuito aiuti alimentari a oltre 90.000 persone, un risultato che nemmeno le grandi agenzie internazionali avevano raggiunto.
“Sappiamo che Gaza è al centro dell’attenzione – aggiunge – ma anche la Cisgiordania, Gerusalemme e Israele soffrono. I cristiani dipendono dalla stabilità politica: se non c’è stabilità, non c’è turismo, e senza turismo non ci sono entrate. Molti cristiani lavorano nel settore dell’accoglienza dei pellegrini, negli hotel, nei negozi, nelle agenzie di viaggio. La guerra significa per loro disoccupazione e povertà”.
Dietro ogni progetto c’è una comunità che resiste, crede e continua a sperare, nonostante le macerie. Può raccontarci qualche storia/testimonianza di speranza?
Nel dramma, emergono storie di profonda fede. Durante la guerra, nel complesso della Sacra Famiglia, religiosi, suore, anziani e bambini e anche 40 persone con disabilità hanno deciso di restare, affidandosi completamente alla protezione di Dio. Hanno pregato insieme, condiviso il cibo e formato comitati per gestire le necessità quotidiane. È stato un esempio concreto di comunione cristiana, una vera testimonianza di fede vissuta.
“Tutto questo avviene non solo a Gaza. In Giordania ad esempio – precisa – abbiamo 24 scuole. Re Abdullah ha istituito il Comitato Hashemita per l’Assistenza Umanitaria, che distribuisce pasti caldi e pacchi alimentari a tutti, senza distinzione. È una collaborazione concreta, segno della vicinanza tra le comunità e della nostra fede operosa. Così cerchiamo di costruire ponti tra comunità diverse”.
Il cardinal Pizzaballa chiede in continuazione che si possa riprendere a vivere con una nuova prospettiva che non sia la guerra e la violenza. C’è un messaggio che anche lei desidera rivolgere a quanti in tutto il mondo seguono con apprensione quanto accade in Terra Santa?
La Chiesa cattolica è una voce forte per la giustizia e la pace in Terra Santa. Speriamo che l’attenzione, la solidarietà e l’unione nella preghiera della Chiesa italiana e universale continuino, perché il nostro popolo ha ancora bisogno di speranza, e noi siamo chiamati a essere strumenti di quella speranza.