Chiesa
L’Italia all’estero oggi è “l’unica a crescere rispetto a un Paese ripiegato su sé stesso, che fatica a scrollarsi di dosso il peso di persistenti fragilità sociali ed economiche, come i divari territoriali, gli squilibri demografici, le difficoltà di occupazione”, scrive nel Rapporto Italiani nel Mondo, presentato questa mattina, la curatrice Delfina Licata. Secondo i dati al 1° gennaio 2025, gli iscritti all’Anagrafe degli Italiani all’Estero (Aire) sono 6.412.752, circa il 12% della popolazione. Nell’ultimo anno si sono registrate oltre 278 mila nuove iscrizioni (+4,5% in un anno), quasi 479 mila nell’ultimo triennio (+8,1%), oltre il doppio rispetto al 2006 (+106,4%). “L’estero”, si dice da tempo, “è la ventunesima regione d’Italia”, fa notare il Rapporto, giunto alla ventesima edizione e nato su iniziativa della Fondazione Migrantes. Da questo studio – dice al Sir don Antonio Serra, coordinatore delle Missioni Cattoliche Italiane in Gran Bretagna – emerge con forza che “la mobilità italiana è un fenomeno strutturale, non riducibile a retoriche populiste che tendono a considerarla un fenomeno marginale o emergenziale”. Da anni il Rim, con il coordinamento della sociologa Delfina Licata, “combatte, dati alla mano, la disinformazione e la misinformazione su questo fenomeno”. In risposta a una costante “pressione politica e mediatica” che qualifica l’Italia come “invasa dagli immigrati”, il Rim ricorda che “l’Italia è da sempre un Paese crocevia di movimenti, in entrata e in uscita. È un Paese di emigrazione”, e questo “crea allarme perché sembra la risposta a fragilità nazionali come denatalità, invecchiamento e tenuta economica. Ma la mobilità non può e non va letta solo in chiave negativa. I nostri giovani non partono esclusivamente per ‘fuga’, ma anche per ‘correre verso’ nuove opportunità di crescita, sentendosi cittadini europei e del mondo. Mentre in tanti vedono ancora l’emigrazione come una ‘perdita’, molti giovani si spostano sentendosi, di fatto, non emigrati ma cittadini europei e cittadini del mondo”. Per don Serra la sfida “non è fermare la mobilità, ma rendere l’Italia un luogo attrattivo in cui le persone possano scegliere di restare o di tornare. La mobilità odierna, infatti, non è più – come accadeva con le grandi emigrazioni del passato – un trasferimento definitivo, ma un percorso circolare, costante e fluido, fatto di interconnessioni quotidiane con l’Italia”.
Don Serra, perché si parte oggi? Cosa si incontra quando si arriva all’estero?
Per i giovani italiani, emigrare all’estero significa potersi misurare con le proprie capacità, ma anche fare i conti con i propri limiti. Nonostante le condizioni dei giovani di oggi siano notevolmente cambiate – si pensi alla facilità dei trasporti, alla competenza linguistica… – quando si arriva all’estero ci si deve confrontare con una nuova cultura e con un nuovo stile di vita. Tutto questo affascina i giovani che, per loro natura, hanno insito in sé uno spirito di avventura. Mentre gli emigrati del passato vivevano la loro esperienza migratoria nostalgicamente rivolti verso il passato, verso le “radici”, i giovani di oggi partono proiettandosi verso nuovi orizzonti esistenziali, aperti a rimettersi in gioco con i nuovi elementi che si presentano loro nel contesto di arrivo. Un giovane parte con la consapevolezza di non “lasciare” l’Italia, ma, da italiano, di esportare la bellezza della propria cultura, pronto a condividerla con tutti coloro che incontra.
Qual è la sua esperienza in Gran Bretagna?
La mia esperienza in Gran Bretagna, come missionario per gli emigrati italiani, è scoprire che tanti giovani cercano la missione perché hanno bisogno di relazioni significative e, pur avendo trovato un lavoro che li soddisfa economicamente e professionalmente, sentono di dover arricchire la loro esistenza con una ricerca di senso più profonda come l’esperienza spirituale.
Da sempre la Chiesa è stata vicina ai nostri emigrati: quale ruolo ha avuto e quale ruolo ha oggi?
Il ruolo della Chiesa di oggi verso i migranti è quello della Chiesa di sempre. La sintesi sublime del suo ruolo è quello dei quattro verbi delineati da papa Francesco: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Con una aggiunta significativa che ci proviene dal Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2025 di papa Leone XI, il quale parla di ‘missio migrantium’: i migranti non sono più un oggetto della pastorale, sono piuttosto i protagonisti di quella ‘nuova evangelizzazione’ tanto cara a Giovanni Paolo II. Attraverso questa chiave di lettura si potrebbe ipotizzare che le comunità di migranti saranno quelle ‘minoranze creative’ grazie alle quali, secondo Benedetto XVI, potrà rinascere la nuova Chiesa in Europa.