Idee
Si è aperta in questi giorni a Belém, in Brasile, Cop30, la 30a edizione della conferenza delle parti della Convenzione quadro dell’Onu sul cambiamento climatico.
L’appuntamento ha un significato simbolico particolare in quanto cade a dieci anni dall’adozione dell’Accordo di Parigi nel dicembre 2015, il primo accordo globale per contrastare la crisi climatica, in cui i 195 Paesi firmatari si impegnavano attraverso politiche di mitigazione e una rafforzata cooperazione internazionale a contenere l’aumento della temperatura globale tra l’1,5 °C e i 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali. Giova peraltro ricordare che il successo di quella Conferenza fu legato anche alla pubblicazione nel maggio 2015 dell’enciclica Laudato si’ e della forte azione di moral suasion esercitata da papa Francesco per la protezione del clima “bene comune”.
Sicuramente la radicalità e la profondità del discorso sull’ecologia integrale sarà presente anche a Belém perché, dieci anni dopo la sua pubblicazione, l’enciclica sulla cura della casa comune continua a essere di straordinaria attualità rappresentando ancora un riferimento morale e culturale per leggere il segno dei tempi. La proposta dell’ecologia integrale, come chiave di lettura del rapporto che ciascuno di noi è chiamato a intrattenere con gli esseri umani, con le altre forme di vita e con l’ambiente in cui viviamo configura il mondo come comunità di creazione, in cui “tutto è connesso”, a sottolineare una rete di relazioni che rispecchia la stessa natura relazionale di Dio. Dal punto di vista etico-politico la prospettiva dell’ecologia integrale evidenzia che non ci sono più crisi separate, economica, politica, etica, ma un’unica grande crisi socio-ambientale che richiede di adottare un approccio integrato e responsabile. Perché prendersi cura della casa comune non significa ricercare una via di mezzo tra tutela della natura e rendita finanziaria o tra conservazione dell’ambiente e crescita economica. Per riconoscere il legame profondo tra ambiente e povertà, la necessità di uno stile di vita più sobrio, solidale e rispettoso della terra bisogna “ridefinire il progresso” che è tale solo se migliora in modo integrale la qualità della vita delle persone e delle comunità e lascia in eredità alle future generazioni un ambiente migliore.
Ma l’attualità della Laudato si’ sta soprattutto nel fatto che ha generato e continua a generare un impatto reale: ha contribuito a sensibilizzare, mobilitare, orientare segnando un avanzamento dell’azione e dell’impegno per la cura del creato nella società e nella Chiesa non solo in Italia, ma in tutto il mondo. In questi dieci anni, infatti, molti processi sono stati attivati nelle diocesi, nelle associazioni, nel mondo della scuola, delle imprese e degli enti locali per ripensare ai nostri stili di vita, alle politiche pubbliche e alle strutture economiche in una prospettiva trasformativa, nel segno della sostenibilità e dell’ecologia integrale. Esperienze che mostrano come l’enciclica non è rimasta confinata a un livello teorico, ma ha dato vita a una rete di azioni concrete e diffuse per la trasformazione sociale, capaci di coniugare preghiera, azione e responsabilità civile.
Per questi motivi, l’enciclica rimane una risorsa preziosa, da promuovere e far conoscere, non come un documento da conservare, ma come un richiamo continuo a vivere la nostra responsabilità e il nostro impegno per la cura della Terra casa comune delle presenti e future generazioni.
Secondo un rapporto Unicef presentato alla Cop30 di Belém, entro il 2050 circa 68 milioni di bambini rischiano la malnutrizione a causa della crisi climatica. Oltre un miliardo di minori, la metà globale, vive in Paesi «ad altissimo rischio», mentre 739 milioni affrontano già una grave scarsità d’acqua.

«La conversione ecologica è un cammino di giustizia e di pace». Con queste parole papa Leone XIV, nel messaggio inviato alla Cop30, ha incoraggiato i leader mondiali a «trasformare parole e riflessioni in scelte e azioni concrete, fondate su responsabilità, giustizia ed equità». Il papa sottolinea che «il cambiamento climatico minaccia la vita di tutti e richiede una cooperazione internazionale lungimirante, capace di mettere la dignità umana e il bene comune al centro». Ricorda che «già san Giovanni Paolo II aveva definito la crisi ecologica una questione morale», e cita papa Francesco: «Il clima è un bene comune, appartenente a tutti e destinato a tutti». Il pontefice auspica «una nuova architettura finanziaria centrata sulla persona», che consenta ai Paesi più poveri «di raggiungere il proprio potenziale rispettando la dignità dei cittadini».