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Nella Giornata mondiale dei poveri le Cucine economiche popolari sono presenti in 62 parrocchie della Diocesi di Padova con l’iniziativa “Un dono che nutre”. Una proposta semplice che permette, a chi decide di aderirvi, di sostenerle: ai banchetti gestiti dai volontari (dove possibile nella loro stessa parrocchia) si possono ricevere, con un’offerta di 10 euro, i biscotti artigianali realizzati in collaborazione con Le Sablon e Antico Forno e con 5 euro una confezione di farina donata dal Granaio delle Idee.
È il secondo anno che le Cep organizzano questa iniziativa nelle parrocchie: «Le Cucine sono un’opera della Chiesa di Padova, quindi anche delle parrocchie e ci piace l’idea che ne prendano consapevolezza e che quest’opera torni nel territorio» spiega suor Albina Zandonà, la direttrice.
Le offerte raccolte permetteranno alle Cucine di continuare a offrire ascolto, cura e un pasto caldo a chi vive situazioni di fragilità e solitudine. L’obiettivo della Giornata mondiale dei poveri dovrebbe essere proprio questo: «Far sì che non ci siano più poveri. A volte ci si abitua a certe situazioni e non ci si pone neanche più il problema. Si fa una buona azione nei loro confronti, senza porsi la domanda: perché sono in quella situazione? Il primo passo è fare qualcosa, accorgersi che esistono, donare 5 o 10 euro, non tanto alle persone, quanto alle organizzazioni che le aiutano. Il passo successivo sarebbe quello di porsi la domanda: qual è l’ingiustizia sociale che continua a permettere che ci siano i poveri? Perché è un’ingiustizia sociale, che ciascuno di noi non ha il potere di sanare. Ma possiamo fare qualcosa, come quello che facciamo alle Cucine».
Nell’esortazione apostolica Dilexi te papa Leone XIV esorta i cristiani a non considerare i poveri solo come un problema sociale. «Essi – afferma – sono una “questione familiare”. Sono “dei nostri”». Sembra proprio il modello adottato dalle Cucine. «Le persone qui si sentono a casa. È interessante osservare come le stesse persone che per strada hanno un atteggiamento arrogante e aggressivo, qui no. Perché qui si sentono conosciuti e riconosciuti per quello che sono. Noi siamo casa per loro, ma dovremmo esserlo in un tempo limitato, perché poi dovremmo spingerli a uscire e a intraprendere una via di autonomia. Non perché li buttiamo fuori o non li vogliamo più, ma perché intraprendono un cammino di crescita accompagnato ed escono di casa».
L’esortazione dice anche che «la scelta prioritaria per i poveri genera un rinnovamento straordinario sia nella Chiesa che nella società». «Spero – sottolinea suor Albina – che questo per la Chiesa sia pane quotidiano. Gesù Cristo si è preso cura delle persone più fragili. Se diciamo che è il nostro maestro, prenderci a cuore le persone che sono in situazione di fragilità dovrebbe essere la nostra quotidianità. È il Dna, l’essenza. Se la Chiesa non si prende cura dei poveri, cosa fa? Certo che c’è anche l’evangelizzazione, proclamare la Parola. Ma deve andare di pari passo con l’accorgersi di chi la società mette ai margini, perché non produce, non è bello, è vecchio, è sporco. Quello che per la società è al margine per la Chiesa dovrebbe essere al centro, perché i parametri sono diversi».