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Partiranno a breve i lavori di ristrutturazione della casa di accoglienza della parrocchia del Sacro Cuore in Padova, affidata all’Associazione Elisabetta d’Ungheria. L’intervento, sostenuto con i fondi dell’8 per mille alla Chiesa cattolica, consentirà di riqualificare l’intero immobile e di ampliare la possibilità di accoglienza per persone senza dimora. «Si tratta di una ristrutturazione strutturale che interesserà gli appartamenti e gli accessi – spiega Francesco Caobianco, tecnico del progetto – Il cantiere dovrebbe aprirsi tra l’estate 2026 e la metà del 2027, con la temporanea ricollocazione delle persone accolte in altre strutture. Alla fine dei lavori, gli spazi permetteranno di ospitare fino a quattro unità di accoglienza con diversi gradi di autonomia».
La struttura, che porta il nome di “Casa Elisabetta”, è nata nel 2016 in occasione del Giubileo della misericordia. «Con il consiglio pastorale – racconta don Daniele Marangon, parroco di Sacro Cuore – ci siamo chiesti come rendere visibile e concreto il tema della misericordia nella nostra parrocchia. Avevamo un appartamento grande e ci siamo guardati attorno: la collaborazione con l’Associazione Elisabetta d’Ungheria ci è piaciuta subito, perché non si trattava solo di affidare dei locali, ma di condividere un percorso».
Nei primi anni, “Casa Elisabetta” offriva un ricovero notturno nei mesi più freddi dell’anno. Poi la pandemia ha cambiato tutto. «Il Covid ci ha chiesto una conversione – ricorda don Marangon – da accoglienza invernale siamo passati a un’accoglienza stabile. I volontari dell’associazione e della comunità hanno cominciato a seguire più da vicino gli ospiti, aiutandoli anche a costruirsi una professionalità per entrare nel mondo del lavoro. Alcuni di loro oggi hanno un impiego stabile e un appartamento in affitto, ma continuano a tornare: “Casa Elisabetta” resta per tutti un punto di riferimento».
Proprio da questi frutti è nata l’esigenza di rinnovare gli spazi e rendere più efficiente la struttura. «La comunità è parte del progetto fin dall’inizio: tutto è nato da un desiderio condiviso, non dall’iniziativa di pochi. C’è stato un discernimento, un ascolto delle persone, e poi un impegno concreto: dal portare il cibo al fare visita, dal servizio dei giovani ai pranzi comunitari. La buona pratica, se vogliamo chiamarla così, sta proprio qui: in un desiderio condiviso, trasparente, che ha posto l’accoglienza non ai margini ma al centro della comunità».
Una visione che condivide anche Elisa Brusegan, referente dell’Associazione Elisabetta d’Ungheria: «La ristrutturazione nasce dalla collaborazione tra associazione, parrocchia e Diocesi di Padova. “Casa Elisabetta” è una piccola comunità residenziale che accoglie uomini in situazioni di fragilità, accompagnandoli in un percorso di reinserimento sociale e lavorativo. Una volta raggiunta una certa autonomia, gli ospiti si trasferiscono in un secondo appartamento, “Casa Marianna”».
Il legame tra casa e parrocchia, aggiunge Brusegan, è rimasto saldo nel tempo: «Già prima del Covid un gran numero di volontari proveniva dalla comunità. Le famiglie si organizzavano settimanalmente per portare la cena, e ancora oggi la collaborazione continua con la Caritas e con alcuni gruppi parrocchiali, che una volta al mese condividono con gli ospiti il pranzo della domenica. Si è creata una vera fraternità».
L’esperienza del Sacro Cuore è una delle tre buone pratiche presentate nel Rapporto annuale 2024 della Diocesi di Padova, accanto alla comunità alloggio “Casa Tescari” dell’Irpea a Vigodarzere e al “Progetto D’uomo” di Cittadella. Tre esperienze diverse, ma accomunate – come ha ricordato il vescovo Claudio – dal desiderio di lasciarsi guidare da «un’economia evangelica fatta di cura, dono e fiducia reciproca».